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Parlami, come il vento fra gli alberi,
parlami, come il cielo con la sua terra.
Non ho difese, ma ho scelto di essere libera.
Elisa, Luce (Tramonti a nord est)
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 12,38-42)
In quel tempo, alcuni scribi e farisei dissero a Gesù: «Maestro, da te vogliamo vedere un segno». Ed egli rispose loro: «Una generazione malvagia e adultera pretende un segno! Ma non le sarà dato alcun segno, se non il segno di Giona il profeta. Come infatti Giona rimase tre giorni e tre notti nel ventre del pesce, così il Figlio dell’uomo resterà tre giorni e tre notti nel cuore della terra. Nel giorno del giudizio, quelli di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona! Nel giorno del giudizio, la regina del Sud si alzerà contro questa generazione e la condannerà, perché ella venne dagli estremi confini della terra per ascoltare la sapienza di Salomone. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Salomone!».
Mi lascio ispirare
Pretendere un segno: quanto spesso ci accade. È una dinamica così umana e radicata da pensarla spesso come l’unica possibile, nelle relazioni. Un segno è chiaro, un segno aspira a essere inequivocabile. Non può essere cancellato, e, quindi, ciò che prova non può deludere le aspettative. Un segno è conferma: ciò di cui abbiamo sete.
Eppure il Maestro, anche oggi, desidera condurci un po’ più in là. Il segno – almeno il segno che canonicamente ci aspettiamo, quello che convince perché sbalordisce – soddisfa il bisogno del momento, ma non educa alla fiducia. Non apre alla libertà. Ed è questa l’esperienza preziosa che Gesù vuol farci fare, sopra ogni cosa: la grazia di costruire una relazione col Padre capace di affidamento, libera. Che porti ogni figlia e ogni figlio ad abbracciare la realtà, così com’è, perché solo questa è e rimane l’unica depositaria di segni: il luogo e il tempo in cui si gioca la nostra salvezza.
Certo, l’esempio del segno di Giona potrebbe, di primo acchito, più sconfortare che incoraggiare. Quale promessa, quale speranza nel rimanere confinati tre giorni e tre notti nel ventre di un pesce? Il punto è che non c’è vita nuova senza concreta disponibilità ad accogliere la vita che muore. Giona se n’è intriso, la morte l’ha abitata con fiducia, e quell’esperienza è stata il più lampante dei presagi della resurrezione. Perché, proprio nelle viscere della terra, Gesù scende e rimane, per noi.
Il segno più eloquente di tutti è, allora, l’esperienza dell’abbandono nelle mani di Dio. Lì si respira tutta la storia del suo amore per ciascuna e ciascuno. Lì è il preludio della vita nuova.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quale segno pretendo, o imparo ad attendere, in questo tempo?
Stimo la mia vita, la realtà che abito e condivido con altri, il luogo privilegiato per accogliere i segni dell’amore di Dio?
Nella relazione col Padre, quale aspetto dell’affidarmi a lui mi spaventa maggiormente?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Luglio
2025
Pretendere o attendere?
commento di Mt 12,38-42, a cura di Melania Condò