Foto: Aaron Burden -
La croce non è un palo dei romani, ma il legno su cui Dio ha scritto il suo vangelo.
Alda Merini
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 14,25-33)
In quel tempo, una folla numerosa andava con Gesù. Egli si voltò e disse loro: «Se uno viene a me e non mi ama più di quanto ami suo padre, la madre, la moglie, i figli, i fratelli, le sorelle e perfino la propria vita, non può essere mio discepolo. Colui che non porta la propria croce e non viene dietro a me, non può essere mio discepolo. Chi di voi, volendo costruire una torre, non siede prima a calcolare la spesa e a vedere se ha i mezzi per portarla a termine? Per evitare che, se getta le fondamenta e non è in grado di finire il lavoro, tutti coloro che vedono comincino a deriderlo, dicendo: “Costui ha iniziato a costruire, ma non è stato capace di finire il lavoro”. Oppure quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda dei messaggeri per chiedere pace. Così chiunque di voi non rinuncia a tutti i suoi averi, non può essere mio discepolo».
Mi lascio ispirare
La traduzione del vangelo di oggi vuole addolcire con il non mi ama più di quanto ami l’originale greco odiare. Ebbene sì, oggi ci viene detto di odiare. Come è possibile? Entrando nella cultura semitica, una cultura diretta, che non usa mezzi termini, e relazionando l’odio con ciò che ci allontana da Dio.
L’odio di cui parla il vangelo non è un sentimento: è un atto, è la scelta di allontanare, respingere da noi, ciò che impedisce di seguire pienamente il Signore. Possono essere le relazioni familiari e la propria vita un impedimento a questa sequela? Sì, quando soffocano, quando ci privano della libertà di vivere il Vangelo, quando si propongono come alternativa affettiva a Cristo. Gesù non ci vuole orfani e disincarnati dalla nostra rete di affetti, vuole che ciò sia parte della sua terra e che da lui riceva linfa.
Ciò che ci viene chiesto di allontanare, per rendere più agile la sequela, spesso si fa croce, carico da portare su al nostro Golgota, di frequente per tutta la vita. Ma la croce è stata battezzata da Cristo in un bagno d’amore, si è fatta legno al quale aggrapparsi nei naufragi che ci agitano, si è fatta breccia nelle torri inaccessibili dei nostri castelli, si è fatta vessillo con il quale vincere la sicurezza dei nostri calcoli.
La croce ci chiama a vivere ciò che siamo, non ciò che abbiamo. Dalla croce Gesù ci ha donato ciò che è, non ciò che ha posseduto: ci ha donato l’abbraccio eterno che il dolce legno aiuta a tenere aperto.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
In quale occasione sono riuscito a distinguere l’odio sentimento dall’odio come atto di libertà?
In che modo porto le fatiche che mi accompagnano?
Cosa direi a Gesù in croce?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
6
Novembre
2019
Bagno d’amore
commento di Lc 14,25-33, a cura di Giuseppe Amalfa SJ