Ph. Stefania Pacilli -
Mi ricevi
come il vento la vela.
Ti ricevo
come il solco il seme.
Pablo Neruda
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 13,1-9)
Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia. Egli parlò loro di molte cose con parabole. E disse: «Ecco, il seminatore uscì a seminare. Mentre seminava, una parte cadde lungo la strada; vennero gli uccelli e la mangiarono. Un’altra parte cadde sul terreno sassoso, dove non c’era molta terra; germogliò subito, perché il terreno non era profondo, ma quando spuntò il sole, fu bruciata e, non avendo radici, seccò. Un’altra parte cadde sui rovi, e i rovi crebbero e la soffocarono. Un’altra parte cadde sul terreno buono e diede frutto: il cento, il sessanta, il trenta per uno. Chi ha orecchi, ascolti».
Mi lascio ispirare
Difficile non pensarsi seminatori: ci troviamo spesso a contare i semi che abbiamo in mano, prestando attenzione a dove li lasciamo cadere, aspettando con bramosia che diano frutto. Quanta delusione e quanta frustrazione quando i nostri semi, il nostro lavoro, la nostra fatica non ripagano, non crescono come, dove e quando vorremmo, e ci convinciamo che il seme non sia abbastanza buono, che non ci siamo dati abbastanza da fare, che siamo seminatori mediocri, mentre non ci accorgiamo di camminare su un terreno arido e sterile.
Gesù oggi ci porta a considerare una diversa prospettiva. Se fossimo noi i luoghi seminati e non i seminatori? Se fossimo noi, la terra? Se fossimo noi il terreno solcato, arato, coltivato?
Non è il Padre delle cose facili, frettolose e superficiali quello che ci fa conoscere Gesù. Non è neppure il Padre delle “cose fatte e compiute”. È invece un Padre seminatore, paziente, perseverante, che non ha fretta, instancabile, che non si cura di sprecare i propri semi, non li conta. Esce (perché non si semina nei luoghi riparati e chiusi), solcando il nostro terreno più e più volte, continuando a lasciare cadere tra le dita delle mani semi di ogni tipo, a volte minuscoli, quasi impercettibili.
Allora quello che siamo chiamati a fare noi non è tanto contare i semi, calcolare dove farli cadere, ma prenderci cura quanto più possibile del terreno e farne un giardino. Togliere le erbacce che sono cresciute, una ad una, levare i sassi e tutti gli intralci, fare spazio, dare acqua, proteggere dal troppo sole.
Solo il terreno che sa accogliere è terreno che, a sua volta, darà frutto.
Oggi la buona notizia è che, se siamo capaci di essere terreno fertile e fargli spazio, fosse anche una crepa in mezzo all’asfalto, il seme cadrà, il frutto non mancherà e sarà abbondante. La garanzia è che il seme ce lo mette Lui.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali sono i terreni nel nostro quotidiano che in questo momento sentiamo più aridi? Quali le erbacce che abbiamo lasciato crescere?
Di quale acqua ho bisogno per irrigare il terreno?
Osservo bene attorno a me, le persone, le relazioni di cui mi sono preso cura: quali frutti riesco a vedere e cogliere?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
24
Luglio
2019
Seminati o seminatori?
commento di Mt 13,1-9, a cura di Francesca Carraro