Foto di CHUTTERSNAP su Unsplash -
Noi in fondo abbiamo solo da esistere, ma con semplicità, con insistenza, come esiste la terra, docile alle stagioni.
Etty Hillesum
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 18,1-8)
In quel tempo, Gesù diceva ai suoi discepoli una parabola sulla necessità di pregare sempre, senza stancarsi mai: «In una città viveva un giudice, che non temeva Dio né aveva riguardo per alcuno. In quella città c’era anche una vedova, che andava da lui e gli diceva: “Fammi giustizia contro il mio avversario”. Per un po’ di tempo egli non volle; ma poi disse tra sé: “Anche se non temo Dio e non ho riguardo per alcuno, dato che questa vedova mi dà tanto fastidio, le farò giustizia perché non venga continuamente a importunarmi”». E il Signore soggiunse: «Ascoltate ciò che dice il giudice disonesto. E Dio non farà forse giustizia ai suoi eletti, che gridano giorno e notte verso di lui? Li farà forse aspettare a lungo? Io vi dico che farà loro giustizia prontamente. Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?».
Mi lascio ispirare
“Mi farò giustizia io, da me stessa”. Questo sarebbe potuta essere l’altra opzione della vedova di fronte al silenzio del giudice. Quante volte si sente questa affermazione di fronte alla frustrazione dell’attesa e di un’ingiustizia subita? L’attesa consuma, fa crescere la rabbia, la sfiducia e il senso di abbandono.
“Mi faccio io giustizia, perché d’altronde non ce n’è, per noi che non siamo stati baciati dalla sorte o privilegiati dalla nascita o dagli amici. Ho già perso un marito, non mi farò fregare un’altra volta”. Ci sarebbe molto realismo e pragmatismo in parole del genere. Eppure la donna non le pronuncia. Attende e insiste. Pazienta e si fida.
Quante volte anche la nostra preghiera si arrende al realismo e al pragmatismo e si fa giudice e artefice della storia, lasciando chiuso Dio nel suo tribunale, tanto quanto non agisce e fa giustizia al modo e al momento che riteniamo adatto? L’insistenza infatti non è petulanza invasiva (questo vale solo per un giudice disonesto). L’insistenza è figlia di una speranza e di una fiducia che non si lasciano consumare dall’attesa. È un dono da chiedere. È un’arte da affinare.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Come vivo l’attesa di una preghiera non soddisfatta?
Quando mi sono sentito vittima di un Dio indifferente?
Quali esperienze ho di una fiducia faticosamente e lentamente ripagata da Dio?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
19
Ottobre
2025
Nella pazienza, fiducia
commento di Lc 18,1-8, a cura di Leonardo Angius SJ