René Magritte, Le Faux Miroir – Il falso specchio (1928) -
Adesso è forse il tempo della cura.
Dell’aver cura di noi, di dire
noi. Un molto largo pronome
in cui tenere insieme i vivi.
Mariangela Gualtieri, Adesso
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 21,33-43.45-46)
In quel tempo, Gesù disse ai capi dei sacerdoti e agli anziani del popolo: «Ascoltate un’altra parabola: c’era un uomo che possedeva un terreno e vi piantò una vigna. La circondò con una siepe, vi scavò una buca per il torchio e costruì una torre. La diede in affitto a dei contadini e se ne andò lontano. Quando arrivò il tempo di raccogliere i frutti, mandò i suoi servi dai contadini a ritirare il raccolto. Ma i contadini presero i servi e uno lo bastonarono, un altro lo uccisero, un altro lo lapidarono. Mandò di nuovo altri servi, più numerosi dei primi, ma li trattarono allo stesso modo. Da ultimo mandò loro il proprio figlio dicendo: “Avranno rispetto per mio figlio!”. Ma i contadini, visto il figlio, dissero tra loro: “Costui è l’erede. Su, uccidiamolo e avremo noi la sua eredità!”. Lo presero, lo cacciarono fuori dalla vigna e lo uccisero. Quando verrà dunque il padrone della vigna, che cosa farà a quei contadini?». Gli risposero: «Quei malvagi, li farà morire miseramente e darà in affitto la vigna ad altri contadini, che gli consegneranno i frutti a suo tempo». E Gesù disse loro: «Non avete mai letto nelle Scritture: “La pietra che i costruttori hanno scartato è diventata la pietra d’angolo; questo è stato fatto dal Signore ed è una meraviglia ai nostri occhi”? Perciò io vi dico: a voi sarà tolto il regno di Dio e sarà dato a un popolo che ne produca i frutti». Udite queste parabole, i capi dei sacerdoti e i farisei capirono che parlava di loro. Cercavano di catturarlo, ma ebbero paura della folla, perché lo considerava un profeta.
Mi lascio ispirare
Il mondo in cui viviamo ci sollecita continuamente ad accaparrarci tutto il bene possibile: di più è meglio. Più riesco a impadronirmi di una certa posizione, situazione, esperienza o relazione che sia, più sono forte. Inattaccabile, al sicuro: in cima alla graduatoria, la prima della lista. Più sono in grado di disporre di qualcosa – e, purtroppo, spesso anche di qualcuno – più sto realizzando un disegno grandioso. E mi sto illudendo di poter alienare da me quella scintilla di vulnerabilità e fragilità che è propria di tutti gli umani, e che è il sale dell’essere figli.
Sto credendo a un’immagine di me che è assoluta, e, insieme, assolutamente fuorviante: se non penso io a me stessa, affannandomi voracemente a procurarmi di tutto e di più, prevalendo su chi ho accanto, allora chi lo farà per me? Sto abdicando, assolutizzandomi, al mio essere creatura in relazione. Con un Padre che mi ama, e che non può non avere cura di me e della mia vita. Mi sto dimenticando di essere figlia.
Il punto di svolta è nella mia interpretazione. Nei piccoli ma decisivi stadi di maturazione che il mio sguardo compie nel leggere la realtà. Non è il possesso a liberarmi dalla paura, dall’ansia di essere al sicuro, perché stringere nodi non può liberare. La pietra d’angolo, la sola chiave possibile è l’ottica del dono: se scopro che ciò che tengo fra le mani non è una proprietà che mi spetta ma un regalo prezioso che sono chiamata a custodire, raccoglierò frutti gustosi e gratificanti. Spezzerò vita con altre e altri, e, solo così, la moltiplicherò.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Che nome porta l’affanno di possesso che oggi è per me più logorante?
In quali luoghi della mia vita mi riconosco più nitidamente creatura in relazione?
Quale vigna ho ricevuto in affitto, quale dono prezioso di cui prendermi cura?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Marzo
2025
Altra ottica
commento di Mt 21,33-43.45-46, a cura di Melania Condò