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Che notte buia che è, povero me, povero me,
che acqua gelida qua, nessuno più mi salverà.
Paolo Conte, Onda su onda
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 4,35-41)
In quel medesimo giorno, venuta la sera, Gesù disse ai suoi discepoli: «Passiamo all’altra riva». E, congedata la folla, lo presero con sé, così com’era, nella barca. C’erano anche altre barche con lui. Ci fu una grande tempesta di vento e le onde si rovesciavano nella barca, tanto che ormai era piena. Egli se ne stava a poppa, sul cuscino, e dormiva. Allora lo svegliarono e gli dissero: «Maestro, non t’importa che siamo perduti?». Si destò, minacciò il vento e disse al mare: «Taci, càlmati!». Il vento cessò e ci fu grande bonaccia. Poi disse loro: «Perché avete paura? Non avete ancora fede?». E furono presi da grande timore e si dicevano l’un l’altro: «Chi è dunque costui, che anche il vento e il mare gli obbediscono?».
Mi lascio ispirare
Inizia la notte, una notte da passare in mare aperto nella tempesta.
Il mare è luogo di opportunità ma anche di pericolo e nel buio della notte lo diventa ancora di più. Il mare in questione poi in realtà non è che il lago di Tiberiade, che tuttavia aveva delle dimensioni considerevoli. Cosa rappresenta per noi, però, questa immagine della notte in tempesta in mare aperto? Come parla alle nostre vite, alla nostra storia personale? Ha delle forti risonanze anche con la storia di tutti i popoli, ieri come purtroppo anche oggi.
Ma nel buio della notte siamo da soli o forse non siamo mai veramente da soli? Prendere coscienza di questo dipende solo da noi? Forse no, e cioè, per meglio dire, dipende da quanto siamo in grado di lasciare spazio a Cristo nelle nostre vite: non è tanto un lavoro di forza di volontà quanto piuttosto di cedevolezza e di affidamento a qualcosa che è più grande di noi e ci sovrasta ed è intorno a noi ma al tempo stesso è frutto di un amore che siamo in grado di accogliere solo se ci mettiamo realmente in ascolto e convertiamo la burrasca in brezza leggera e carezzevole.
Cristo rimane sereno, è l’unica cosa che può arginare i moti dei nostri animi tempestosi e le vicissitudini burrascose delle nostre vite.
Pur partendo da una posizione iniziale di fiducia in Cristo, c’è sempre il rischio tuttavia di tornare alla nostra autoreferenzialità e alle nostre dinamiche umane non sempre felici.
Ma il “Taci, calmati!” finale è un imperativo, un’esortazione, un memorandum, una preghiera per l’anima che sa di liberazione e fa tornare la brezza, e ognuno di noi può accogliere dentro al suo cuore anche in piena tempesta.
Aron Coppa
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quale notte, quale tempesta mi spaventano?
In quale occasione mi sono sentito solo?
In quale luogo della mia vita ho bisogno di credere in Cristo, di avere fiducia nel Signore?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
27
Gennaio
2024
Onda su onda
commento di Mc 4,35-41, a cura di Pietre Vive (Roma)