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Non conosco il cielo
però conosco te.
Mi va di ringraziare,
puoi farlo tu per me?
Luciano Ligabue, Tu che conosci il cielo
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 17,11-19)
Lungo il cammino verso Gerusalemme, Gesù attraversava la Samarìa e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non ne sono stati purificati dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato nessuno che tornasse indietro a rendere gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Àlzati e va’; la tua fede ti ha salvato!».
Mi lascio ispirare
Perché dovrei andare a presentarmi a un sacerdote se non sono guarita?
Funziona così, per poter uscire dall’isolamento che comporta questa lebbra, qualcuno deve riconoscere che sono guarita. Resto quindi a distanza. Mi confondo nel gruppo di quelli che ti sono venuti incontro. Di quelli che la morte se la portano addosso, una morte visibile nella carne che marcisce e che cade in pezzi. Nelle ferite sempre aperte. Devo rimanere a distanza. Ho preso coraggio e ho lasciato che la mia voce provasse a raggiungerti. Ma non è successo nulla.
Sono bloccata, non posso andare al Tempio in queste condizioni. Non posso stare davanti a Dio e ai miei fratelli così, mi vergogno. Guardo i miei piedi, provo a fare un passo avanti. “Non posso”, continuo a ripetermi. Ma tu mi dici di andare comunque, così come sono, e allora vado. Anche tu sei sulla strada per Gerusalemme. Anche se c’è questa distanza, sarà come fare il cammino insieme, per questo prendo fiducia.
E all’improvviso, lungo la strada, accade l’impensabile: questo mio confine che è la mia pelle inizia a ricucirsi, si ricompone. Senza questo confine non potevo entrare in relazione con gli altri senza farmi del male. Le mie mani tremano, mi volto indietro nel momento esatto in cui uno di noi, urtandomi, corre verso di te, è un Samaritano, ma i Samaritani non hanno il loro luogo di culto a Garizim? Sei forse tu, maestro, il sacerdote, il Tempio? Gli dici che è salvo nel suo ringraziare, non solo guarito, salvo.
Ringrazio e gioisco quando riconosco che la vita la ricevo da un altro. Mi metto alla giusta distanza, non c’è più distanza. E io riesco a essere grata di tutto questo?
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Faccio caso a quando mi viene di farmi da parte, e isolarmi: quali paure mi abitano?
Che cosa ne è dei miei confini personali, nelle relazioni, dei miei bisogni e desideri, rispetto a quelli degli altri?
Con quanta fiducia mi lascio vedere e ri-conoscere?
Per chi o cosa mi va di ringraziare?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
15
Novembre
2023
Non c’è più distanza
commento di Lc 17,11-19, a cura di Caterina Bruno