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Noi sulla spiaggia vuota ad aspettare
e tu che mi dicevi «guarda su quel gabbiano,
stammi vicino e tienimi la mano».
E ci hai visto su dal cielo,
ci hai trovato e piano sei venuta giù,
un passaggio da un gabbiano
ti ha posata su uno scoglio ed eri tu,
tu che sei nata dove c’è sempre il sole,
sopra uno scoglio che ci si può tuffare.
Fiore di maggio, F. Concato
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 4,43-54)
In quel tempo, Gesù partì dalla Samarìa per andare in Galilea. Ma egli stesso aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella sua patria. Quando però giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero con gioia, poiché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafarnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e lo pregò di scendere a guarire suo figlio poiché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Ma il funzionario del re insistette: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli risponde: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che gli aveva detto Gesù e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». S’informò poi a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio in quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive» e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo miracolo che Gesù fece tornando dalla Giudea in Galilea.
Mi lascio ispirare
Il comando di Dio è sempre unito ad una promessa. Siamo chiamati a metterci in cammino su una parola d’amore – e questo richiede l’obbedienza a Dio.Obbedienza significa letteralmente ascoltare chi si ha innanzi e questa non è una posizione che nasce dalla paura, dal conformismo o da un atteggiamento “da ruffiani”, piuttosto è la virtù di chi presta ascolto, tiene in considerazione le indicazioni o le volontà di qualcuno, fino a farle divenire proprie; l’obbedienza indica l’appartenenza e si può scegliere a chi appartenere.
Obbedire, e quindi appartenere, a Dio è atto di fede e di amore; nelle sue indicazioni, nella sua volontà non si può che trovare la via per essere felici, per stare bene, per vivere in pienezza che sia in solitudine o in relazione.
Ecco che Gesù svela come mettersi in un cammino che, nonostante la sua bellezza, può costare ansia e fatica, ma diviene necessario per raggiungere il bene maggiore.
Il criterio per scegliere a chi obbedire e appartenere ci libera da ogni catena e rimette tutto in gioco: non vi può essere obbedienza senza amore e fiducia, ma soprattutto non può esservi vita senza assumersi il rischio di muoversi in nome di una parola nuova, che annuncia vita.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
A chi o a cosa obbedisco nelle mie giornate?
Dove posso individuare dettami legati ad una promessa?
Su quale parola di vita, posso mettermi in cammino oggi?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
1
Aprile
2019
Il rischio di muoversi
commento di Gv 4,43-54, a cura di Mounira Abdelhamid Serra