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Tutto ciò che mettiamo nel sacco oscuro dell’ombra non sparisce. Ci segue. Ci osserva. E alla prima occasione… salta fuori
Robert Bly
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 8,28-34)
In quel tempo, giunto Gesù all’altra riva, nel paese dei Gadarèni, due indemoniati, uscendo dai sepolcri, gli andarono incontro; erano tanto furiosi che nessuno poteva passare per quella strada. Ed ecco, si misero a gridare: «Che vuoi da noi, Figlio di Dio? Sei venuto qui a tormentarci prima del tempo?». A qualche distanza da loro c’era una numerosa mandria di porci al pascolo; e i demòni lo scongiuravano dicendo: «Se ci scacci, mandaci nella mandria dei porci». Egli disse loro: «Andate!». Ed essi uscirono, ed entrarono nei porci: ed ecco, tutta la mandria si precipitò giù dalla rupe nel mare e morirono nelle acque. I mandriani allora fuggirono e, entrati in città, raccontarono ogni cosa e anche il fatto degli indemoniati. Tutta la città allora uscì incontro a Gesù: quando lo videro, lo pregarono di allontanarsi dal loro territorio.
Mi lascio ispirare
Siamo abituati a pensare che il Vangelo debba sempre finire bene. Che Gesù, alla fine, sistemi tutto. Che la guarigione arrivi, che il lieto fine ci faccia tirare un sospiro di sollievo. Invece no. In questo racconto Gesù libera due uomini posseduti da forze distruttive — e qual è la reazione? “Per favore, vattene.” Non c’è gioia, non c’è riconoscenza. C’è paura. C’è rifiuto. Perché la verità, che ci piaccia o no, è questa: il bene, quando è troppo vero, ci spaventa. E la libertà fa ancora più paura del dolore. Preferiamo rimanere prigionieri di ciò che conosciamo — anche se ci fa soffrire — piuttosto che affrontare il vuoto, l’incertezza, il rischio che ogni vera trasformazione porta con sé. Il Vangelo non ci coccola. Ci mette davanti allo specchio e ci dice con disarmante onestà: “Non è sempre il momento giusto. E, a volte, non sei tu a deciderlo.”
I due uomini fra le tombe siamo noi. Sono le nostre parti sepolte, rimosse, abbandonate: rabbia, paura, vergogna, dolore. Quelle cose che abbiamo messo da parte sperando che sparissero da sole. Ma non spariscono. Restano lì, nascoste, a sabotare la nostra vita. E quando qualcosa — o qualcuno — prova a smuoverle, reagiscono. Non vogliono essere guarite. Non vogliono essere integrate. Vogliono solo essere lasciate in pace, continuare con le loro dinamiche distruttive. L’unico cambiamento possibile non è una trasformazione bensì solo un trasferimento verso i porci, che rappresentano i nostri istinti più grezzi e disorganizzati. È la stessa dinamica che viviamo ogni volta che sfoghiamo tutto in un’esplosione, in un eccesso, in una dipendenza, in una fuga. Ci illudiamo di buttare fuori, di liberarci, ma alla fine restiamo più vuoti di prima. Lo sappiamo. Ma continuiamo a farlo.
E qui arriva la parte più scomoda, la più scandalosa. Gesù non fa il salvatore da favola. Accetta di essere rifiutato. Se ne va. Non forza. Non insiste. Guarda quella gente negli occhi e capisce: “Non siete pronti.” E rispetta il rifiuto. Nemmeno Dio può guarire chi non vuole affrontare la propria libertà. E questa è la cosa che più ci fa male: scoprire che il miracolo non è magia, non è un colpo di bacchetta che risolve tutto. È un atto di libertà che vuole intenzionalità. E se non sei pronto, il miracolo non accade. Il male, se non vuoi trasformarlo, non sparisce. Lo trasferisci nell’inconscio. Lo disperdi nel mare caotico dell’oblìo. Ma non lo elimini. Il conto arriva lo stesso, sotto forma di senso di vuoto, di spossatezza, di smarrimento per la novità che non sai come affrontare. E Gesù? Non ti forza. Non sfonda la porta. Semplicemente aspetta. Perché la tua libertà vale più di qualsiasi miracolo. Anche più del suo.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
In quale ambito della mia vita sto rifiutando un cambiamento perché la trasformazione mi spaventa più del problema stesso?
Che cosa continuo a buttare fuori — con sfoghi, eccessi, dipendenze, chiusure — per non sentire ciò che dentro mi fa paura o mi mette in crisi?
Che significa, nel concreto della mia vita, vedere la realtà per quella che è, senza forzarla ma nemmeno fuggire, scegliendo il passo possibile, qui e ora?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
2
Luglio
2025
Attento a ciò che butti!
commento di Mt 8,28-34, a cura di Flavio Emanuele Bottaro SJ