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Una buona cena è uno dei trionfi della civiltà sopra la barbarie.
Robertson Davies
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (MC 14, 12-16. 22-26)
Il primo giorno degli Azzimi, quando si immolava la Pasqua, i discepoli dissero al Signore Gesù: «Dove vuoi che andiamo a preparare, perché tu possa mangiare la Pasqua?». Allora mandò due dei suoi discepoli, dicendo loro: «Andate in città e vi verrà incontro un uomo con una brocca d’acqua; seguitelo. Là dove entrerà, dite al padrone di casa: “Il Maestro dice: Dov’è la mia stanza, in cui io possa mangiare la Pasqua con i miei discepoli?”. Egli vi mostrerà al piano superiore una grande sala, arredata e già pronta; lì preparate la cena per noi». I discepoli andarono e, entrati in città, trovarono come aveva detto loro e prepararono la Pasqua. E, mentre mangiavano, prese il pane e recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro, dicendo: «Prendete, questo è il mio corpo». Poi prese un calice e rese grazie, lo diede loro e ne bevvero tutti. E disse loro: «Questo è il mio sangue dell’alleanza, che è versato per molti. In verità io vi dico che non berrò mai più del frutto della vite fino al giorno in cui lo berrò nuovo, nel regno di Dio». Dopo aver cantato l’inno, uscirono verso il monte degli Ulivi.
Mi lascio ispirare
Nell’istituzione dell’Eucaristia secondo Marco compaiono alcuni dettagli curiosi.
Anzitutto c’è una descrizione dettagliata del modo in cui è preparata la cena. Il che lascia presupporre che l’ultima cena non è stata improvvisata, bensì preparata con cura.
Gesù benedice il pane e il vino pronunciando le note parole che siamo soliti ascoltare durante la celebrazione eucaristica. Non compare tuttavia “per la remissione dei nostri peccati”.
Al termine della cena, Gesù con i discepoli escono e vanno al monte degli ulivi.
Gesù sta costruendo un’esperienza straordinaria e indimenticabile per i suoi discepoli: in effetti, l’ultima cena è il fulcro della nostra fede.
Ma cosa sta facendo vivere Gesù ai suoi discepoli? Per l’essere umano, il cibo non è solo questione di nutrimento biologico. È anche un fatto antropologico. Condividere la mensa è un rito sociale che costruisce comunione. Preparare l’ambiente, cucinare il cibo, imbandire la tavola sono gesti attraverso cui le persone costruiscono insieme e reciprocamente l’essenza umana.
Gesù assume la quotidianità di questo gesto, facendo identificare il suo corpo e il suo sangue con pane e vino. Con questa coincidenza, sta dicendo che lì dove sperimentiamo la vera umanità c’è anche lui. In questo modo lega in modo definitivo quella cena al suo ricordo.
Subito dopo la scena cambia nel Getzemani: lì i discepoli potranno vedere in azione l’essenza umana che l’ultima cena ha attivato. Alla fine, essere umani e essere discepoli di Gesù è la stessa cosa. Può sembrare una cosa da poco. Ma quanti guai in meno ci sarebbero se ne fossimo più consapevoli!
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Prova a richiamare alla memoria il tuo piatto preferito.
Osserva come il ricordo è legato a un’esperienza particolare, a dei volti di persone care, a luoghi significativi della tua vita.
Riconosci come quel ricordo muove dentro di te un sorriso. È lo stesso sorriso che ha spinto Gesù a salvare il mondo.
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
2
Giugno
2024
Una cena a base di umanità
commento di MC 14, 12-16. 22-26, a cura di Flavio Emanuele Bottaro SJ