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Basta guardare qualcuno in faccia un po’ di più, per avere la sensazione alla fine di guardarti in uno specchio.
Paul Auster
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 9,30-37)
In quel tempo, Gesù e i suoi discepoli attraversavano la Galilea, ma egli non voleva che alcuno lo sapesse. Insegnava infatti ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo. Giunsero a Cafàrnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande. Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».
Mi lascio ispirare
Camminare insieme giorni, mesi, anni, eppure, a volte, non comprendere chi mi cammina accanto. Non comprendersi: la più consueta e umana delle esperienze relazionali. Il segno che stiamo imparando a comunicare.
Ed ecco la cartina di tornasole della nostra umanità. Se non comprendiamo tendiamo a chiuderci, perché chiedere spiegazioni richiede un certo lavoro. Domandare è un’arte che richiede libertà. Forse perché interrogare chi non ho compreso significa mettermi a nudo, riconoscere un limite che sì, è anche mio: proclamarsi piccoli.
Ma la strada è ancora lunga, e continuiamo a camminare. Anche nell’incomprensione è possibile camminare insieme. E intanto discutiamo su chi, fra noi, tutti piccoli nella nostra fallibilità creaturale, sia il più grande. Avanti il più forte, il meno fragile: ecco chi vince, ecco la priorità.
Il fatto è che chi mi cammina accanto non solo conosce tutto di me, ma mi ascolta. La sua priorità è prendermi sul serio, sente la mia vita e la mia inquietudine. E mi insegna a partire da questa. Dalla mia realtà, non da teorie alte e inaccessibili.
Alla fine fermarsi, mettersi a sedere e scoprire, dal volto di un bambino, che basta essere così: noi stessi. Piccoli. Risolvere di accoglierci così e, di conseguenza, scoprire che essere il più grande consiste proprio nel desiderare di accogliere, come sé, altri piccoli: questo è amare Dio. Questo rende grandi: figli, quindi liberi dal timore dell’errore, affrancati dalla tentazione della mania di grandezza. Liberi, quindi fratelli.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Come vivo l’esperienza della non comprensione nelle mie relazioni?
In quali relazioni mi sento libero/a di sbagliare e di domandare? E in quella con Dio?
Chi è/sono i “piccoli” che mi chiedono di essere accolti, oggi, nella mia vita?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Maggio
2024
Comunicare
commento di Mc 9,30-37, a cura di Melania Condò