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L’appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Giorgio Gaber, Canzone dell’appartenenza
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 10,11-18)
In quel tempo, Gesù disse: «Io sono il buon pastore. Il buon pastore dà la propria vita per le pecore. Il mercenario – che non è pastore e al quale le pecore non appartengono – vede venire il lupo, abbandona le pecore e fugge, e il lupo le rapisce e le disperde; perché è un mercenario e non gli importa delle pecore. Io sono il buon pastore, conosco le mie pecore e le mie pecore conoscono me, così come il Padre conosce me e io conosco il Padre, e do la mia vita per le pecore. E ho altre pecore che non provengono da questo recinto: anche quelle io devo guidare. Ascolteranno la mia voce e diventeranno un solo gregge, un solo pastore. Per questo il Padre mi ama: perché io do la mia vita, per poi riprenderla di nuovo. Nessuno me la toglie: io la do da me stesso. Ho il potere di darla e il potere di riprenderla di nuovo. Questo è il comando che ho ricevuto dal Padre mio».
Mi lascio ispirare
Essere buon pastore è chiamata a
non scappare davanti alla
paura. Mettere davanti l’amore
per le proprie pecore alla pre
occupazione per sé: figlio, prima che
pastore. Tutto nelle mani del Padre, tutto
libero di amare.
Essere buon pastore è regalare
appartenenza, insegnare con pazienza
il frutto più dolce della lezione
d’amore del Padre: conoscere e
lasciarsi conoscere. Imparare
a farlo, slanci e fatiche, ma dentro
la relazione.
Essere buon pastore è non temere
di mostrare perché, per chi
il Padre ama: per dare, per
altri. E, solo così, solo
dando, non lasciare che altro
mi sia tolto. Vita dispersa, non
persa. Realtà aumentata.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
In quali luoghi della mia relazione col Padre, della mia chiamata, ho sperimentato la liberazione dal pre-occuparmi?
Quali aspetti di me sento conosciuti, accolti, chiamati per nome da Dio?
In quali modi, oggi, sono chiamato/a a dare la vita per altri?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Aprile
2024
Buono perché figlio
commento di Gv 10,11-18, a cura di Melania Condò