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Non sentite voi sempre più dietro le estreme possibilità di questa obbedienza la “costante” della sommissione cordiale, a un tempo timida e ardita? E che vuol dire vivere se non appunto questo ardimento di riempire una forma, che poi un giorno ci viene infranta dalle nuove spalle, perché si entri in dimestichezza, liberi nella nuova metamorfosi, con ogni essere rapito per incantesimo nello stesso regno?
Rainer Maria Rilke
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 23,23-26)
In quel tempo, Gesù parlò dicendo: «Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima sulla menta, sull’anéto e sul cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della Legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste invece erano le cose da fare, senza tralasciare quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello! Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pulite l’esterno del bicchiere e del piatto, ma all’interno sono pieni di avidità e d’intemperanza. Fariseo cieco, pulisci prima l’interno del bicchiere, perché anche l’esterno diventi pulito!».
Mi lascio ispirare
Guai: il termine utilizzato potrebbe far pensare alla condanna alla maledizione. Eppure questa parola, nella sua ruvida schiettezza, punta nella direzione triplice della giustizia, della misericordia, della fedeltà; pur denunciando una certa cecità, invita a costruire uno sguardo attento all’interno del bicchiere perché anch’esso sia pulito. Gesù, piuttosto che demolire alla maniera di un tribunale che emani un verdetto insindacabile, provoca a edificare qualcosa per sé stesse, sé stessi e per la comunità.
La vita esige obbedienza: lo studio, il lavoro (con le scadenze, gli orari e i turni da rispettare senza possibilità di scorciatoia, le frustrazioni, le vittorie), gli impegni; gli appuntamenti che, pur essendo al di fuori del recinto dell’obbligo, entrano a far parte della mia esistenza; i desideri, i sentimenti, i ricordi che talvolta investono furiosamente le giornate o in altre sono una brezza leggera che accarezza.
Anch’io, come i farisei, mi scopro a metà strada tra ciò che faccio o devo fare e ciò che mi abita.
Intravedo almeno due orizzonti che vanno a descrivere due diverse relazioni tra queste regioni dell’esistenza: gli appuntamenti possono da una parte essere luogo della divisione, esprimere l’opposto di ciò che mi abita o addirittura contribuire a istituirne una sorta di censura; dall’altra gli impegni possono rivelare un filo dorato, districando il quale, tra le amarezze, le fatiche, le gioie, le riscosse, ciò che si muove in me prende forma, assume la direzione della sviluppo e della crescita.
Ambedue gli orizzonti presuppongono, oltre gli eventi che sottolineano ciò che devo fare, il peso del mio contributo, la responsabilità, ossia la mia risposta al mare del fare.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali sentimenti, ricordi, vissuti mi abitano di fronte al dovere?
In quale luogo della mia esistenza sento che la responsabilità mi dà vita?
Il lavoro, lo studio o, più in generale, gli impegni che scandiscono il mio tempo sono luoghi in cui mi assumo la responsabilità della mia crescita o sono prigioni?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
23
Agosto
2022
Fare, dovere, costruire
commento di Mt 23,23-26, a cura di Carmine Carano SJ