Ph. Emanuele Gambuti -
…come dunque può questo piccolo cuore battere, questo piccolo cervello pensare, a meno che Dio non batta quel battito, non pensi quei pensieri, non viva quella vita, e non io?
Herman Melville, Moby Dick
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 9,38-43.45.47-48)
In quel tempo, Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demòni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi. Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa. Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare. Se la tua mano ti è motivo di scandalo, tagliala: è meglio per te entrare nella vita con una mano sola, anziché con le due mani andare nella Geènna, nel fuoco inestinguibile. E se il tuo piede ti è motivo di scandalo, taglialo: è meglio per te entrare nella vita con un piede solo, anziché con i due piedi essere gettato nella Geènna. E se il tuo occhio ti è motivo di scandalo, gettalo via: è meglio per te entrare nel regno di Dio con un occhio solo, anziché con due occhi essere gettato nella Geènna, dove il loro verme non muore e il fuoco non si estingue».
Mi lascio ispirare
Le parole di Giovanni oggi ci toccano personalmente, come cristiani.
Qui il tema di fondo è l’esclusività: il gesto dei discepoli, di cui Giovanni si fa portavoce, è un gesto che noi stessi compiamo. Esclusività, perché riteniamo di portare e poter usare solo noi quel nome. Esclusività che implica esclusione di tutti coloro che non seguono esattamente le regole, le nostre regole. Perché in fondo del nostro modo di essere cristiani, di quel nome, noi facciamo un marchio.
Cosa significa veramente agire in nome di Gesù? È farsi portatori di un nome, “Jeshua”, che è in realtà un annuncio: “Dio salva”. E un simile annuncio non è compatibile con alcun tipo di esclusività, ma ci spinge ad accogliere e ad accettare, a essere consapevoli dell’esistenza di vie diverse rispetto alla nostra, di altri carismi, che si muovono nella stessa direzione e convergono verso lo stesso obiettivo.
Vivere e agire in nome di Gesù significa effettivamente essere segnati, riconoscibili in quanto testimoni: come cristiani noi siamo suoi occhi, sue mani e suoi piedi. Questo implica una responsabilità, verso il prossimo e verso noi stessi. Con parole dure Gesù ci invita a liberarci di quanto in noi sia motivo di scandalo: non è questa l’imposizione di una norma, di un giogo, ma un invito ad essere liberi, a privarci di ciò che ci rende divisi in noi stessi, frammentari.
È, in definitiva, un invito a eliminare qualsiasi corpo estraneo o protesi autocostruita ed entrare nella vita, per riavere la nostra interezza nel corpo che è in quel nome, Gesù.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quale marchio appongo a me stesso e alla mia fede?
In che modo il mio modo di vivere, di parlare, di agire mi fa testimone riconoscibile di Gesù?
Cosa, in me, mi è di scandalo?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
26
Settembre
2021
Molte vie, una meta
commento di Mc 9,38-43.45.47-48, a cura di Pietre Vive (Roma)