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Uno decide di essere un uomo
e allora li libera tutti
anche quelli che gli fanno paura
li libera tutti
Lo zoo, Alessandra Racca
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Mi lascio ispirare
Certi tipi di veleno ti entrano in corpo e ti privano della forza di andare avanti, lentamente e in modo subdolo si fanno strada nella carne e dalle caviglie, da un passo che sembrava innocuo, infettano tutto. Colpiscono le gambe e le paralizzano, rendendo incerti i nostri passi, le braccia si chiudono in un ostinato silenzio, arrivano alle mani con cui offri una carezza, il cuore si ferma, la gola si chiude, la vista si appanna.
Il popolo guidato da Mosè si trascinava nel deserto senza fiducia e questo andare senza fiducia offre il calcagno ai serpenti che strisciano per terra cercando vittime. Mosè dovrà fare un simulacro, un serpente di bronzo, e innalzarlo su un’asta, perché guardandolo la gente possa guarire. Ci sembra un gesto inconsistente, privo di significato, di utilità, eppure è proprio questo gesto che ci permette di alzare lo sguardo dalla terra della nostra sofferenza. Solo davanti alla croce si capisce il senso di questo gesto.
Cristo innalzato per sollevare il nostro sguardo dalle nostre debolezze, Cristo morto che prende su di sé la nostra morte, i nostri veleni, Cristo uomo che per amore prende la forma del serpente, la forma del peccato, per risparmiarci le conseguenze del peccato, per renderci liberi. La croce per restare in vita, per imparare a consegnare nelle mani di Dio la nostra vita.
Guardare a Cristo sulla croce è l’atto di fiducia più estremo che si possa fare perché è disumano e incomprensibile restare a guardare un uomo che sta morendo per te. Lasciarsi sollevare la testa china fino a incrociare il suo volto, lasciarsi asciugare le lacrime, lenire le sofferenze, sciogliere i pugni chiusi, abbandonarsi a questo immenso. Non siamo soli. Non lo si può capire, ci si può solo consegnare, a Lui solo possiamo consegnare le nostre ferite.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
In quale luogo della tua vita non riesci proprio a dire che Dio è con te?
Cosa ti aiuta a trasformare i tuoi pugni chiusi in carezze?
In cosa ti senti chiamato a stare nella ferita e farti prossimo?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
14
Settembre
2020
L’abbandono della croce
commento di Gv 3,13-17, a cura di Caterina Bruno