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Manchevolezza. Termine che serve a designare le colpe che io posso aver commesso a differenza delle tue che sono senz’altro atti criminali.
Ambrose Bierce
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Mi lascio ispirare
Che effetto fanno su di noi le parole che accompagnano l’atto penitenziale all’inizio di una celebrazione eucaristica? Che cosa suscita in noi – nel momento in cui “saliamo al tempio a pregare” – l’autodefinirci come qualcuno che ha “molto peccato”, che lo ha fatto in tanti modi (“pensieri, parole, opere, omissioni”) e che riconosce per ben tre volte – per di più anche battendosi il petto – una “propria colpa”, addirittura “grandissima”?
Il fariseo (che abita in ciascuno di noi) è colui che dinanzi a simili parole rimane impermeabile, perché in fondo non ci crede! Si tratta di una serie di formule da pronunciare a un certo punto previsto dal rituale, ma le cose non stanno affatto così… Possiamo anche arrivare al punto di riconoscere che siamo dei peccatori, ma – anche noi come il fariseo al tempio – siamo portati a pensare che in fondo i “veri peccatori” sono altri, che hanno commesso qualcosa di ben più grave.
Diverso è l’approccio del pubblicano, che si colloca a una sana distanza e, battendosi il petto, accetta – almeno per un momento – di definire se stesso semplicemente guardando chi è davvero il Signore e non confrontandosi con gli altri per sentirsi più o meno bravo.
Definirsi, in solidarietà con tutti gli altri uomini, “grandi peccatori” diventa allora semplicemente ammettere che da soli ci sentiamo inadeguati a vivere il Vangelo come una chiamata, perché sembra superarci. Ma la pietà del Signore esalta ognuno di noi, lo innalza, lo rende capace dell’amore necessario per rispondere con prontezza a quella chiamata.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Di quale grande colpa oggi posso ritenermi responsabile?
Da cosa mi sento assolto, quando rivolgo il mio sguardo al Signore?
Sento la pietà del Signore accogliermi con misericordia così come sono?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
30
Marzo
2019
Innalzati dall’amore
commento di Lc 18,9-14, a cura di Iuri Sandrin SJ