L’intimità non è una via di mezzo. Si tratta di un modo di essere in cui la tensione tra la distanza e la vicinanza si scioglie e si intravede un nuovo orizzonte. L’intimità va oltre la paura.
Henri Nouwen
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 17, 11-19)
Durante il viaggio verso Gerusalemme, Gesù attraversò la Samaria e la Galilea. Entrando in un villaggio, gli vennero incontro dieci lebbrosi i quali, fermatisi a distanza, alzarono la voce, dicendo: «Gesù maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse: «Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono sanati. Uno di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce; e si gettò ai piedi di Gesù per ringraziarlo. Era un Samaritano. Ma Gesù osservò: «Non sono stati guariti tutti e dieci? E gli altri nove dove sono? Non si è trovato chi tornasse a render gloria a Dio, all’infuori di questo straniero?». E gli disse: «Alzati e và; la tua fede ti ha salvato!».
Mi lascio ispirare
Lebbrosi consapevoli di esser tali, malati, infetti, non degni, pericolosi, rifiutati, dati per persi, si fermano a distanza e alzano la voce; chiedono la pietà di essere ascoltati, “Tu che sei il maestro, insegnaci chi siamo, cosa dobbiamo fare”, così come tutte quelle volte in cui, capita anche ad ognuno di noi, si muove dentro qualcosa che non è ben accetta, il dolore, la rabbia, la vergogna, la paura, il senso di non-adeguatezza, il senso di impotenza, l’invidia, la gelosia, la noia, l’indolenza e tanto altro.
Ci sono in noi movimenti che conosciamo, sappiamo da dove vengono, e che possiamo chiamare “galilei”, e altri che non riusciamo neanche ad identificare, movimenti “stranieri”, “samaritani”.
Tutti questi movimenti ci costringono a fermarci e a mantenere una distanza, che può apparire incolmabile, da tutto il resto e al contempo danno voce a parti di noi che ancora hanno un disperato bisogno di un in-segnamento, cioè di un nuovo segnale per prendere una direzione.
Gesù volge lo sguardo a questo grido, ascolta i lebbrosi e li invita a venir fuori, a presentarsi e a definirsi dinanzi a coloro che amministrano il culto; ognuno di noi esseri umani è chiamato anzitutto ad amministrare il culto della vita dal momento in cui si sveglia la mattina, attraverso le varie attività della giornata sino al momento di andare a dormire; portare alla luce la tenebra che abbiamo dentro, lasciare che essa si schiarisca, semplicemente imparando a chiamarla con i suoi nomi, sotto lo sguardo misericordioso di Dio che ascolta, vede e ci ama così come siamo, è il movimento che guarisce.
Rimane lo stupore di una gratitudine più profonda e incondizionata che viene proprio dalle parti di noi stessi che non conosciamo e che, guarite, trasformano il grido di disperazione in grido di lode e ringraziamento.
Questa trasformazione è la distanza che l’Amore sa riempire e che restituisce l’intimità dell’unità e della comunione: vita piena, fede innata che dal primo gemito del nascituro si cela in ognuno sino all’ultimo respiro.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Lascio che i lebbrosi si fermino, vedo il loro grido, li invito a presentarsi.
Quali di essi son galilei e quale i samaritani?
Metto tutto ai piedi di Gesù, che gusto ha la guarigione?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
14
Novembre
2018
In compagnia di uno straniero
commento di Lc 17, 11-19, a cura di Mounira Abdelhamid Serra