
- Gustav Klimt, Public domain, via Wikimedia Commons
La morte è solo un orizzonte, e un orizzonte non è che il limite del nostro sguardo.
William Penn
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (GV 6,37-40)
In quel tempo, Gesù disse alla folla: «Tutto ciò che il Padre mi dà, verrà a me: colui che viene a me, io non lo caccerò fuori, perché sono disceso dal cielo non per fare la mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato. E questa è la volontà di colui che mi ha mandato: che io non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno. Questa infatti è la volontà del Padre mio: che chiunque vede il Figlio e crede in lui abbia la vita eterna; e io lo risusciterò nell’ultimo giorno».
Mi lascio ispirare
Gesù parla della vita, oggi. Dice che nulla dell’umano può andare perduto: desideri, ferite, amore, fatiche. “Vedere il Figlio” è un’esperienza di verità davanti a se stessi. È riconoscere che dentro di noi abita la stessa forza che ha spinto Gesù ad amare fino alla fine, a non tirarsi indietro nemmeno di fronte al rifiuto. Quando tocchiamo quel punto, il confine tra divino e umano si dissolve: scopriamo che la vita eterna non è altrove, ma qui, dove scegliamo di amare invece di chiuderci.
Gesù non è venuto a salvarci dalla nostra umanità, ma nella nostra umanità. Non rifiuta nulla: ingloba tutto, anche la paura, la rabbia, la perdita. Anche lì dove noi tendiamo a scartare quei frammenti di noi che non apprezziamo. Diventiamo suoi discepoli, quando finalmente possiamo darci il permesso di abbracciare tutto quello che siamo e che viviamo: diventiamo capaci di portare il dolore e la sofferenza. È lì che ci giochiamo la resurrezione, non in un domani da sognare, bensì nel presente che osa credere in questo potere dell’umano.
Quando ricordiamo chi abbiamo amato e il nostro sguardo si addolcisce, accade qualcosa di straordinario: la morte perde presa. In quell’attimo i nostri cari letteralmente risorgono nella nostra carne e noi con loro. Le loro qualità, le loro passioni, la loro umanità: tutto continua a vivere attraverso la nostra vita. È così che la nostra essenza si espande e si trasfigura: non per accumulo di esperienze, ma per trasfusione di cuore in cuore. Questa è la vita eterna: un contagio d’amore continuo che nessuna tomba può contenere.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali parti della mia umanità tendo ancora a scartare, a nascondere, a negare?
Quando ho sperimentato una capacità d’amare capace di attraversare la paura o la perdita?
Che tratto umano dei miei cari — una qualità, un atteggiamento, un’intuizione — continua a vivere in me e chiede di vivere nella mia storia?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
2
Novembre
2025
Quando i morti viventi non sono zombie
commento di GV 6,37-40, a cura di Flavio Emanuele Bottaro SJ