Foto di Brittani Burns su Unsplash -
In tempi di menzogna universale, dire la verità è un atto rivoluzionario.
George Orwell
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 4,43-54)
In quel tempo, Gesù partì [dalla Samarìa] per la Galilea. Gesù stesso infatti aveva dichiarato che un profeta non riceve onore nella propria patria. Quando dunque giunse in Galilea, i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto quello che aveva fatto a Gerusalemme, durante la festa; anch’essi infatti erano andati alla festa. Andò dunque di nuovo a Cana di Galilea, dove aveva cambiato l’acqua in vino. Vi era un funzionario del re, che aveva un figlio malato a Cafàrnao. Costui, udito che Gesù era venuto dalla Giudea in Galilea, si recò da lui e gli chiedeva di scendere a guarire suo figlio, perché stava per morire. Gesù gli disse: «Se non vedete segni e prodigi, voi non credete». Il funzionario del re gli disse: «Signore, scendi prima che il mio bambino muoia». Gesù gli rispose: «Va’, tuo figlio vive». Quell’uomo credette alla parola che Gesù gli aveva detto e si mise in cammino. Proprio mentre scendeva, gli vennero incontro i suoi servi a dirgli: «Tuo figlio vive!». Volle sapere da loro a che ora avesse cominciato a star meglio. Gli dissero: «Ieri, un’ora dopo mezzogiorno, la febbre lo ha lasciato». Il padre riconobbe che proprio a quell’ora Gesù gli aveva detto: «Tuo figlio vive», e credette lui con tutta la sua famiglia. Questo fu il secondo segno, che Gesù fece quando tornò dalla Giudea in Galilea.
Mi lascio ispirare
I primi versetti oggi ci possono spiazzare. Noi sappiamo che Gesù viene da Nazareth e, quindi, è galileo. Come mai l’evangelista, che pure mette sulla bocca di Gesù che «un profeta non riceve onore nella propria patria» poi afferma che «i Galilei lo accolsero, perché avevano visto tutto ciò che aveva fatto a Gerusalemme»? Risolviamo seguendo gli esegeti: Gesù viene da Nazareth, ma la sua vera “patria” è Gerusalemme, dove si trova la casa del Padre suo. Quindi è stato rifiutato dai Giudei e per questo ora torna in Galilea, dove, invece, era già stato riconosciuto alle nozze di Cana.
Il contesto dunque è quello della fede nell’azione e nella parola di Gesù. Qui essa si manifesta attraverso la fede nella veridicità della sua parola: il padre del ragazzo malato non vede immediatamente l’opera di Gesù, ma si fida della sua parola ed è proprio questa fiducia che “produce” il miracolo.
La riflessione per noi oggi potrebbe proprio essere questa: nel nostro mondo di fake news e di parole violente che pretendono di sostituire la realtà con la menzogna, continua a farsi strada una parola che diventa vera non solo nella misura in cui chi l’ascolta ci crede e la fa sua; questa parola è quella che guarisce, dà vita e cambia i rapporti tra le persone. Infatti, solo alla fine del racconto il «funzionario del re» è chiamato «padre» del ragazzo. Questo cammino di fiducia in una parola che guarisce lo rende padre di suo figlio, egli “diventa” padre perché ha avuto compassione del figlio e, molto di più, perché ha creduto alla parola di vita.
La parola di Gesù è la pietra filosofale: permette di smascherare la parola falsa e riconoscere (dagli effetti costruttivi) la parola vera!
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali, quante parole ascolti nel tuo quotidiano?
A quale parola senti di dover dare fiducia, fino a farla diventare espressione di ciò che tu sei e delle relazioni che vivi?
In quale occasione la Parola è stata per te pietra filosofale e ti ha permesso di riconoscere la verità?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
31
Marzo
2025
Di chi ti fidi? A quale parola ti affidi?
commento di Gv 4,43-54, a cura di Stefano Titta SJ