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Per ogni tipo di viaggio
meglio avere un bagaglio leggero.
Niccolò Fabi, Vince chi molla
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 12,13-21)
In quel tempo, uno della folla disse a Gesù: «Maestro, di’ a mio fratello che divida con me l’eredità». Ma egli rispose: «O uomo, chi mi ha costituito giudice o mediatore sopra di voi?». E disse loro: «Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia perché, anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende da ciò che egli possiede». Poi disse loro una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un raccolto abbondante. Egli ragionava tra sé: “Che farò, poiché non ho dove mettere i miei raccolti? Farò così – disse –: demolirò i miei magazzini e ne costruirò altri più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti!”. Ma Dio gli disse: “Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato, di chi sarà?”. Così è di chi accumula tesori per sé e non si arricchisce presso Dio».
Mi lascio ispirare
La tentazione di chiamare in causa Gesù per dirimere le nostre spicciole questioni irrisolte, quelle beghe tra fratelli e sorelle che a volte dimenticano di essere anche figli, è roba umana. Niente da biasimare, perché anche questa tentazione schiude una ricerca, un tentativo di approfondire la conoscenza del Maestro. Ma è fuorviante, perché è l’illusione di un volto improprio: quello di un Maestro-giudice che possa sancire chi ha torto e chi ha ragione, a chi spetti la parte peggiore e a chi quella migliore – possibilmente a me.
È un’immagine facile, a portata di mano, eppure errata: non solo un errore interpretativo della relazione con il Figlio di Dio, ma proprio della relazione con tutte le cose di Dio. Queste, infatti, stanno davanti a me perché io possa imparare a servirmene per amare meglio, per uscire fuori da me stessa, per incontrare l’altro, per scoprire, nutrire e condividere la mia vocazione. Non per possederle. Possederle ha un inizio e una fine, mentre amare no.
E così impariamo a essere più leggeri, non soggiogati alle cose e al loro dominio, al torto o alla ragione. Non affannati e consumati nel costruire depositi più ampi. Ma più leggeri, e consolati, affinché possiamo muoverci più liberi lungo il viaggio della vita. Disponibili a lasciar andare e lasciar entrare. A lasciarci educare alla vita di Dio, alla quale apparteniamo.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
In quali tipi di controversie, in quali liti quotidiane cerco il Maestro? Cosa mi aspetto da lui?
Che tipo di rapporto instauro con i beni di cui posso servirmi?
Di quale fardello sento il desiderio e il bisogno di alleggerirmi, oggi, per meglio seguire Gesù?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Ottobre
2024
Possedere o appartenere?
commento di Lc 12,13-21, a cura di Melania Condò