Albrecht Dürer, Mani che pregano (1508) -
È stato lʼorgoglio che ha trasformato gli angeli in diavoli; è lʼumiltà che rende gli uomini uguali agli angeli.
Agostino di Ippona
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano lʼintima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e lʼaltro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: “O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo”. Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: “O Dio, abbi pietà di me peccatore”. Io vi dico: questi, a differenza dellʼaltro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Mi lascio ispirare
Il Padre celeste ha un progetto di santificazione per ognuno di noi. Creati a sua immagine e somiglianza e resi figli di Dio nel Figlio Gesù, con la grazia dello Spirito Santo siamo tutti chiamati a ritornare alla verità della nostra essenza, alla sincerità del nostro essere. «Chiunque si esalta sarà umiliato», allora, vuol dire che sarà richiamato alla humus, alla terra dalla quale è stata generato, che è lo spazio della semplicità, lʼesercizio della povertà.
Nellʼumiliarci possiamo lodare davvero Dio. Solo svuotati del nostro orgoglio, della nostra vanità e dei sentimenti di arroganza che ci fanno credere migliori degli altri potremo lasciare davvero spazio alla presenza del Signore nella nostra vita. Perciò, «chi invece si umilia sarà esaltato» e, fatti i conti con la verità della sua situazione interiore, di semplice e povera creatura nelle mani del Signore, troverà lʼincontro salvifico con Dio.
Il fariseo della parabola si parla addosso («pregava così tra sé»), loda se stesso per quello che egli stesso fa e punta il dito verso gli altri. Questo lo allontana da Dio, dai fratelli e da uno sguardo sincero su se stesso. Non si accorge di quanto di buono e di bello il Signore gli ha donato, perché ha lʼintima presunzione di bastare a se stesso.
La fede in Gesù Cristo, invece, ci smuove dalle comodità e ci costringe a guardare al caos che abbiamo dentro. Così fa il pubblicano: la sua esistenza, segnata da ferite ed errori, fa i conti con i propri limiti. Riconoscendosi povero, accoglie nella sua vita la misericordia di Dio e pone se stesso in sincera e intima relazione con lui.
Chiediamo al Signore di donarci un cuore semplice, che riconosca la sua presenza nella nostra vita.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Da cosa è abitato oggi il mio cuore?
Quali sono le paure che ho nel relazionarmi sinceramente con Dio, anche con i miei peccati?
Cosa riconosco di bello e di buono, che mi ha donato il Signore, da rimettere nelle sue mani?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
9
Marzo
2024
Chiamati a ritornare alla verità della nostra essenza
commento di Lc 18,9-14, a cura di Marco Ruggiero