-
Ché se la voce tua sarà molesta
nel primo gusto, vital nodrimento
lascerà poi, quando sarà digesta.
Dante Alighieri, Commedia, Paradiso XVII
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 7,31-37)
In quel tempo, Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!».
Mi lascio ispirare
Chissà se, sordo com’era, quell’uomo aveva capito dove i suoi amici lo stavano portando. Però si fida, si lascia condurre e affidare a questo sconosciuto che sembra poterlo aiutare. E, senza ancora riuscire a capire nulla di quello che gli viene detto, continua a fidarsi. Segue quest’uomo che si allontana dal gruppo, si lascia accompagnare via dai suoi amici, in disparte.
Gesù, poi, non parla. Cosa dovrebbe dirgli? Oltre a essere sordo e muto, quest’uomo della Decapoli non è neanche ebreo. E anche noi che ci disponiamo a rivivere la scena forse siamo chiamati a rimanere senza parole, a guardare, a gustare․․․ A sentire con le dita più che nelle parole. In che modo Gesù gli ha messo le dita nelle orecchie? Come la sua saliva ha toccato la lingua del muto? Lasciamoci scandalizzare da questa intimità, dal contatto con chi ama il nostro corpo più che noi stessi. Tocca lì dove le nostre malattie, le nostre fragilità ci impediscono di entrare davvero in relazione con gli altri, e se lo lasciamo fare senza irrigidirci, apre ogni chiusura e scioglie ogni resistenza.
Se ti ascolti, cosa senti? Cos’è che ti toglie il respiro, ti pesa sul petto, ti stringe lo stomaco? Cosa ti sveglia, ti scuote, confonde e commuove? Non potremo servire il Signore a forza di buone azioni, se prima non ci lasciamo raggiungere lì dove “siamo toccati”. Lui non vuole incontrarci in qualche ragionamento spirituale, e non ci offre semplicemente un’interpretazione del senso della vita; è venuto per toccarci, farsi mangiare, guarirci․․․
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali luoghi e persone mi hanno portato o mi portano da Gesù?
Quando sono in disparte cosa sento, dove sono fragile?
In che modo Dio mi tocca al di là delle parole?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
10
Febbraio
2023
Oltre le parole
commento di Mc 7,31-37, a cura di Harambet