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Il male riconosciuto è l’equilibrio che consente al bene di sbocciare perché il campo è sgombro, la terra lavorata, la pioggia caduta, e non perché strattono i petali perché nascano fiori virtuosi.
Chandra Livia Candiani per “DiVersi, solo le cose inutili sono poetiche” di Elisabetta Bucciarelli
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 13,1-9)
In quel tempo, si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Sìloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Tàglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».
Mi lascio ispirare
Il vangelo getta una bella luce sul perché delle disgrazie, degli incidenti che drammaticamente pongono fine alle vite delle persone o le lasciano in condizioni critiche.
Al tempo di Gesù si pensava di leggere questi eventi come punizioni divine per i presunti peccati dei colpiti dalla sventura, ma il Signore rompe con questo modo di pensare: le sciagure non le manda il Signore per punirci. Sono eventi che dovrebbero spingerci non tanto a chiedere perché, quanto piuttosto a trasformare il quesito in: come potrei io oggi essere di sostegno e conforto a coloro che sono vittime di tali situazioni? Non siamo ancora in paradiso e la creazione, così come le nostre persone, sono coinvolte in una fragilità che porta a sconvolgimenti naturali e personali. La creazione vive le sue doglie e sempre i suoi dolori diventano anche i nostri! Cosa fare allora?
Cercare di essere fecondi, di alleviare attivamente o con la preghiera le sofferenze del nostro mondo. Tessere una rete fattiva virtuosa (anche virtuale) di comunione, perdono, accoglienza e solidarietà! Forse non ci rendiamo conto, ma è questa impalcatura d’amore che permette al mondo persistere e di andare verso il compimento. Certo, visti gli ultimi drammatici eventi è facile scoraggiarsi, sembra più semplice dire che tutto va a catafascio, che non c’è più speranza, meglio tagliare l’albero alla radice…
Ma il Signore Gesù ci invita a entrare in contatto con la sua pazienza, con la sapienza di un agricoltore che non cede alla tentazione di abbandonare le parti meno fertili della creazione. Se ci pensiamo bene, fa così anche con noi: non taglia ciò che ci regala la sterilità – ma con il suo intervento, e la nostra collaborazione, possiamo fare esperienza di una nuova e inedita fecondità.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Come potrei oggi essere di sostegno e conforto alle situazioni di dolore che mi interpellano maggiormente?
Cosa potrebbe rinforzare la mia speranza nel futuro?
Per quali fecondità inattese mi piacerebbe ringraziare il Signore?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
22
Ottobre
2022
Inedita fecondità
commento di Lc 13,1-9, a cura di Narciso Sunda SJ