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È ’na jastemma ’sta parola “ammore”,
miliuni ’e voci, ’na voce sola.
Se trema comme a ’na stella
pe’ ‘e vuot’ d’abbandono,
semplicemente sulo.
È ’na jastemma ’sta parola “ammore”,
core addulurato, figlio ’e Dij, figlio d’‘a preta.
Sette spade appizzate,
core int’‘o foro…
Ammore è sulo ‘na parola.
È una bestemmia questa parola “amore”,
milioni di voci, una voce sola.
Si trema come una stella
per il vuoto dell’abbandono,
semplicemente solo.
È una bestemmia questa parola “amore”,
cuore addolorato, figlio di Dio, figlio della pietra.
Sette spade conficcate,
cuore nel buco.
“Amore” è solo una parola.
Enzo Avitabile e Pippo Delbono, Jastemma d’ammore
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 16,9-15)
Risorto al mattino, il primo giorno dopo il sabato, Gesù apparve prima a Maria di Màgdala, dalla quale aveva scacciato sette demòni. Questa andò ad annunciarlo a quanti erano stati con lui ed erano in lutto e in pianto. Ma essi, udito che era vivo e che era stato visto da lei, non credettero. Dopo questo, apparve sotto altro aspetto a due di loro, mentre erano in cammino verso la campagna. Anch’essi ritornarono ad annunciarlo agli altri; ma non credettero neppure a loro. Alla fine apparve anche agli Undici, mentre erano a tavola, e li rimproverò per la loro incredulità e durezza di cuore, perché non avevano creduto a quelli che lo avevano visto risorto. E disse loro: «Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura».
Mi lascio ispirare
Gli apostoli faticano a credere. Sperimentano la distruzione del dubbio che s’insinua, serpeggia, avvelena la relazione con Gesù, inficia le parole di coloro che testimoniano l’incontro con il Vivente. Gli apostoli lo credono morto. Sono alla deriva nell’oceano immenso del lutto, dell’assenza senza ritorno.
Ciononostante Gesù rilancia: prima a Maria di Màgdala, poi ad altri due discepoli, infine appare anche agli Undici; ricostruisce la comunità disgregata dall’incredulità. E non si ferma qui, continua ad alzare l’asticella della bellezza in gioco: manda gli Undici in tutto il mondo perché testimonino ad altre e ad altri ciò che hanno vissuto. Loro che hanno dubitato e hanno navigato nel dolore della morte disperata possono annunciare. È un meraviglioso umano paradosso: dopo aver toccato con la loro carne affaticata il vuoto, possono pronunciare una parola piena.
Il dubbio, la disperazione, la ferita, l’angoscia, il silenzio tormentato – non ricercati, non vissuti in un’esaltazione sterile del dolore – che mi abitano o addirittura mi affollano sono un peso, eppure possono essere trasformati in un’opportunità di incontro e di credibilità. Se mi prendo cura degli spigoli che rendono impervia la mia esistenza, quegli angoli aguzzi possono diventare stanze dove ospitare le umanità che incontro.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali sono gli spigoli, i dolori, le ferite di cui voglio prendermi cura oggi?
Quale parola piena mi sento chiamato a pronunciare?
In che modo posso rendere stanze ospitali per accogliere le persone quei vuoti che mi abitano?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
23
Aprile
2022
Uno spigolo inospitale può diventare un abbraccio
commento di Mc 16,9-15, a cura di Carmine Carano SJ