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Che la pietà non vi sia di vergogna.
Fabrizio De André
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 18,9-14)
In quel tempo, Gesù disse ancora questa parabola per alcuni che avevano l’intima presunzione di essere giusti e disprezzavano gli altri: «Due uomini salirono al tempio a pregare: uno era fariseo e l’altro pubblicano. Il fariseo, stando in piedi, pregava così tra sé: «O Dio, ti ringrazio perché non sono come gli altri uomini, ladri, ingiusti, adùlteri, e neppure come questo pubblicano. Digiuno due volte alla settimana e pago le decime di tutto quello che possiedo». Il pubblicano invece, fermatosi a distanza, non osava nemmeno alzare gli occhi al cielo, ma si batteva il petto dicendo: «O Dio, abbi pietà di me peccatore». Io vi dico: questi, a differenza dell’altro, tornò a casa sua giustificato, perché chiunque si esalta sarà umiliato, chi invece si umilia sarà esaltato».
Mi lascio ispirare
Ci sono due uomini che salgono al tempio.
Nei loro cuori c’è un’idea di Dio. Come in ognuno di noi dentro la loro storia si è poggiata la Parola eppure quella stessa parola passa per due sguardi diversi.
Il primo ha sempre cercato Dio, sguardo alto e sicuro, convinzione e fermezza, presunzione e abitudine; lo ha trovato nelle cose, nei riti, nei gesti, nella ripetizione di preghiere e penitenze che con il tempo sono diventate solo parole. Non ha sbagliato un colpo, il fariseo, e se ne vanta, ne va fiero, ed è vero che ad un primo sguardo la sua fede quasi luccica. Eppure ha commesso un errore: attribuire a queste cose la propria salvezza. Sembra quasi pretenderla, quella salvezza, come dire a Dio: “ho fatto tutto questo: me lo devi.” Non c’è più il cuore. C’è un rapporto che è diventato sterile abitudine, facciata, è un monologo.
Ma l’amore di Dio non si compra.
Dall’altra parte un pubblicano sale al tempio, e ogni passo di quella salita lo vive come quello di un intruso. Tiene nel cuore la parola, come un bambino a cui è stato messo per pochi secondi in mano un oggetto prezioso, e ne sente la responsabilità e al tempo stesso il timore di romperlo, eppure vive l’attrazione della bellezza di quell’oggetto, l’unicità di quel momento. Il pubblicano ha nel cuore solo Dio, non ci sono i gesti, non ci sono le parole che non sa dire, i modi, i riti che non ha mai imparato. Eppure egli sa․․․ “La salvezza non si controlla”.
Non sono le cose che ci salvano, ma è la fede. È l’amore di Dio, l’amore che lui sale a chiedere al tempio con il suo peso nel cuore e gli occhi bassi. La sua unica parola è “pietà”. Forse in quell’unica pronuncia si compie il miracolo di un figlio che, nonostante tutto, seppur coperto di vergogna, sente nel cuore di poter tornare al Padre e che quel padre non si volterà dall’altra parte.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Che forma prendo, quando mi metto davanti al Signore?
Qual è il peso che mi impedisce di avanzare nel tempio e non nascondermi?
Mi sono mai sentito liberato dallo sguardo di Amore di Dio? Quando?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
26
Marzo
2022
La salvezza non si controlla
commento di Lc 18,9-14, a cura di Pietre Vive (Roma)