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La dignità non consiste nel possedere onori, ma nella consapevolezza di meritarli.
Aristotele
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 5,21-43§)
In quel tempo, essendo Gesù passato di nuovo in barca all’altra riva, gli si radunò attorno molta folla ed egli stava lungo il mare. E venne uno dei capi della sinagoga, di nome Giàiro, il quale, come lo vide, gli si gettò ai piedi e lo supplicò con insistenza: «La mia figlioletta sta morendo: vieni a imporle le mani, perché sia salvata e viva». Andò con lui. Molta folla lo seguiva e gli si stringeva intorno. Ora una donna, che aveva perdite di sangue da dodici anni e aveva molto sofferto per opera di molti medici, spendendo tutti i suoi averi senza alcun vantaggio, anzi piuttosto peggiorando, udito parlare di Gesù, venne tra la folla e da dietro toccò il suo mantello. Diceva infatti: «Se riuscirò anche solo a toccare le sue vesti, sarò salvata». E subito le si fermò il flusso di sangue e sentì nel suo corpo che era guarita dal male. E subito Gesù, essendosi reso conto della forza che era uscita da lui, si voltò alla folla dicendo: «Chi ha toccato le mie vesti?». I suoi discepoli gli dissero: «Tu vedi la folla che si stringe intorno a te e dici: “Chi mi ha toccato?”». Egli guardava attorno, per vedere colei che aveva fatto questo. E la donna, impaurita e tremante, sapendo ciò che le era accaduto, venne, gli si gettò davanti e gli disse tutta la verità. Ed egli le disse: «Figlia, la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male». Stava ancora parlando, quando dalla casa del capo della sinagoga vennero a dire: «Tua figlia è morta. Perché disturbi ancora il Maestro?». Ma Gesù, udito quanto dicevano, disse al capo della sinagoga: «Non temere, soltanto abbi fede!». E non permise a nessuno di seguirlo, fuorché a Pietro, Giacomo e Giovanni, fratello di Giacomo. Giunsero alla casa del capo della sinagoga ed egli vide trambusto e gente che piangeva e urlava forte. Entrato, disse loro: «Perché vi agitate e piangete? La bambina non è morta, ma dorme». E lo deridevano. Ma egli, cacciati tutti fuori, prese con sé il padre e la madre della bambina e quelli che erano con lui ed entrò dove era la bambina. Prese la mano della bambina e le disse: «Talità kum», che significa: «Fanciulla, io ti dico: àlzati!». E subito la fanciulla si alzò e camminava; aveva infatti dodici anni. Essi furono presi da grande stupore. E raccomandò loro con insistenza che nessuno venisse a saperlo e disse di darle da mangiare.
Mi lascio ispirare
Due guarigioni operate su persone diverse, in contesti diversi, eppure Marco ce le presenta attraverso una vicenda incastonata nell’altra. Eppure, a una prima lettura, i due brani presi separatamente sembrerebbero funzionare entrambi rispetto al messaggio salvifico che vogliono comunicare. La donna perde sangue da dodici anni, Giàiro sta perdendo la figlia di dodici anni. Due vicende parallele a lieto fine, dove la vita trionfa.
Come allora rendere ragione della concatenazione? Le due scene mettono in gioco due atteggiamenti di fede radicalmente opposti che generano una contraddizione insanabile: è Dio che salva o la mia fede?
Due atteggiamenti diversi di fronte a Dio: da una parte l’uomo che riconosce la grandezza di Dio. Dall’altra la donna che si prende la responsabilità della sua salvezza e osa rischiare con coraggio sfidando le convenzioni sociali e addirittura toccando Gesù.
Da una parte, un atteggiamento di rispettosa umiltà, dall’altra, un atteggiamento di coraggio e di assunzione di responsabilità. In entrambi i casi, l’esito è lo stesso: entrambe le persone malate vengono guarite. In gioco dunque non c’è il raggiungimento dello scopo. In gioco c’è qualcosa di più sottile. È la salvezza della dignità umana. Entrambe le situazioni salvaguardano la dignità umana ma lo fanno in modo radicalmente opposto. È una situazione di soglia. C’è dignità nel chiedere umilmente e c’è dignità nell’assumersi responsabilità. Così come non c’è dignità quando dipendo servilmente dall’altro o quando pretendo dall’altro a tutti i costi. Non è che una cosa vale l’altra.
Siamo tutti chiamati a prendere posizione, a seconda della nostra personalità, della nostra storia, delle nostre ferite. In entrambi i casi verremo comunque salvati
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Che cosa è per te la dignità?
Quando ti è capitato di perderla?
Quando ti è capitato di viverla fino in fondo?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
1
Febbraio
2022
Dignità salvata
commento di Mc 5,21-43§, a cura di Flavio Emanuele Bottaro SJ