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La vita sta lì,
alla portata del salto
che non facciamo.
Julio Cortázar, Il gioco del mondo
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 3,13-17)
In quel tempo, Gesù disse a Nicodèmo: «Nessuno è mai salito al cielo, se non colui che è disceso dal cielo, il Figlio dell’uomo. E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non vada perduto, ma abbia la vita eterna. Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui».
Mi lascio ispirare
Un sassolino tra le mani, linee di gesso tracciate sulla strada, dietro di me su una casella sta scritto “terra”, in fondo, “cielo”. La fatica di stare in equilibrio dove sono su una sola gamba. Il rischio di cadere, mentre tento un salto per la casella successiva.
Nella vita vera però il percorso si intravede a malapena e il rischio è quello di fermarsi del tutto. Nella notte della sete di Nicodèmo, Gesù lo riporta al tempo dell’Esodo. «Mi hai liberato, Signore, per farmi morire qui, nel deserto?”․․․ la voce del popolo di Israele potrebbe essere la nostra, quando la stanchezza e lo scoraggiamento, la sfiducia, la fame, prendono il sopravvento, quando le nostre peggiori paure prendono vita, letteralmente, e si trasformano in serpenti, nella nostra realtà. Così non riusciamo più ad alzare lo sguardo, presi dal timore di fare un passo falso. Gesù cita un passaggio del libro dei Numeri, quello in cui il Signore chiede a Mosè di fare un serpente di bronzo e di metterlo sopra un’asta perché guardandolo il popolo guarisca.
Per guarire dobbiamo guardare la realtà, la cosa che più ci fa paura, il fallimento, la ferita che ci toglie la vita, e non è possibile farlo da soli. Occorre che il Figlio dell’uomo – così Gesù parla di sé –, che questo suo essere umano, questo suo essere come noi, prenda quel posto. Che l’Amore, il dono radicale di sé, prenda il posto di quel veleno, di questa nostra paura della morte, e della vita.
Guardiamo questa fragilità, questo dover dipendere da un altro, questo bisogno che un altro ci nutra, questa mancanza che ci abita, questo essere fame e sete, il male in cui siamo immersi, questa paura di non farcela, e la paura che Dio non sia davvero Padre e che la libertà sia una condanna, una fregatura. Possiamo alzare lo sguardo alla Croce che rappresenta tutto quello che ci fa male, la solitudine, la paura di essere abbandonati a noi stessi nel deserto a morire, e scopriamo che davvero un altro ha preso il nostro posto.
Tutto questo peso diventa un luogo di incontro con il Padre, non di condanna. Ecco, ora posso fare finalmente un salto in avanti, con fiducia, su questa tua Parola, Figlio, perché non c’è posto qui su questa terra che non sia abitato da Te.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quale deserto nella tua vita hai scoperto abitato?
Che nome ha la tua paura più grande?
Cosa significa per te guardare a Cristo crocifisso?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
14
Settembre
2021
Da questa parte
commento di Gv 3,13-17, a cura di Caterina Bruno