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Sono come la polvere alzata dal vento,
sono come la pioggia caduta dal cielo,
sono come una canna spezzata dall’uragano,
se Tu, Signore, non sei con me.
Claudio Chieffo, Io non sono degno
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 21,15-19)
In quel tempo, quando [si fu manifestato ai discepoli ed] essi ebbero mangiato, Gesù disse a Simon Pietro: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami più di costoro?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pasci i miei agnelli». Gli disse di nuovo, per la seconda volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?». Gli rispose: «Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene». Gli disse: «Pascola le mie pecore». Gli disse per la terza volta: «Simone, figlio di Giovanni, mi vuoi bene?». Pietro rimase addolorato che per la terza volta gli domandasse “Mi vuoi bene?”, e gli disse: «Signore, tu conosci tutto; tu sai che ti voglio bene». Gli rispose Gesù: «Pasci le mie pecore. In verità, in verità io ti dico: quando eri più giovane ti vestivi da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti vestirà e ti porterà dove tu non vuoi». Questo disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. E, detto questo, aggiunse: «Seguimi».
Mi lascio ispirare
Di primo acchito non è facile cogliere il senso profondo di un dialogo così, apparentemente ripetitivo. Quello che però può saltare subito all’occhio è che le prime due volte Gesù chiede a Pietro «mi ami?», mentre l’ultima «mi vuoi bene?». Come interpretare questo cambio di verbi? Il testo originale greco ci viene in aiuto.
La prima richiesta di Gesù è alta, esigente: chiede a Pietro se lo ama, se prova agape nei suoi confronti, ossia se è disposto a donargli tutto sé stesso in un amore disinteressato e incondizionato. Pietro non vuole straparlare di nuovo, ha ancora stampata in mente l’umiliazione di quella volta in cui, prima di cadere, aveva promesso: «se anche tutti dovessero abbandonarti, io non ti abbandonerò»; ora è già caduto, ha imparato la lezione, e in tutta modestia risponde «tu sai che ti voglio bene». Non ho quell’agape così puro di cui mi chiedi, ma ho filìa, un voler bene tutto umano che provo per te, questo sì.
Ma Gesù, dopo avergli affidato per la prima volta il gregge, insiste, chiede a Pietro un salto di qualità: «mi ami?», hai agape per me? Sei disposto a liberarti del tuo io per seguirmi? Ma Pietro conosce i suoi limiti, e ribadisce con umiltà: «Signore, sai che ti voglio bene», conosci la mia filia per te, ma più di questo non posso garantire.
Allora il Signore spariglia le carte, rinuncia all’amore divino che gli compete e gli spetterebbe e si riduce a chiedere una filia imperfetta e tutta umana: «mi vuoi bene?». Questa domanda così semplice e umile commuove Pietro, e il «sì» stavolta è fra i singhiozzi, perché capisce che il Signore quella terza volta è sceso al suo livello per abbracciarlo in tutta la sua debolezza. Questa terza volta il Signore non ha chiesto ancora agape, ma si è accontentato della nostra filia, del nostro provarci. Pietro piange perché nella semplicità di quella domanda ha sperimentato che lui va bene così, anche nella sua incapacità di amare il Signore come vorrebbe; che proprio in questa sua incapacità il Signore lo accoglie, lo accetta e lo mette a capo delle sue pecore.
Anche noi oggi possiamo sperimentare la possibilità di essere chiamati e di servire con tutte le nostre debolezze, con tutti quegli egoismi di cui non riusciamo a liberarci, senza la pretesa di stringere fra le mani un Vangelo che come una bacchetta magica risolva tutti i nostri problemi e faccia di noi dei “supereroi” dell’amore. Ripartiamo da questa relazione, dal bene che c’è, e fidiamoci: il resto verrà da sé.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali egoismi mi impediscono di vivere la pienezza altruista dell’amore “agapico”?
Quando mi è successo di sentirmi amato e scelto nonostante queste fragilità?
In cosa oggi sperimento la semplicità e la bellezza del volersi bene, col Signore e con gli altri?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Maggio
2021
Almeno ti voglio bene!
commento di Gv 21,15-19, a cura di Comunità Centro Poggeschi