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Fino a 26 anni fu uomo di mondo, assorbito dalle vanità. Amava soprattutto esercitarsi nell’uso delle armi, attratto da un immenso desiderio di acquistare l’onore vano. Con questo spirito si comportò quando venne a trovarsi in una fortezza assediata dai francesi.
Ignazio di Loyola, Autobiografia, 1
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 16,29-33)
In quel tempo, dissero i discepoli a Gesù: «Ecco, ora parli apertamente e non più in modo velato. Ora sappiamo che tu sai tutto e non hai bisogno che alcuno t’interroghi. Per questo crediamo che sei uscito da Dio». Rispose loro Gesù: «Adesso credete? Ecco, viene l’ora, anzi è già venuta, in cui vi disperderete ciascuno per conto suo e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Vi ho detto questo perché abbiate pace in me. Nel mondo avete tribolazioni, ma abbiate coraggio: io ho vinto il mondo!».
Mi lascio ispirare
500 anni, tra 3 giorni: che emozione! Stiamo per festeggiare il ferimento di sant’Ignazio a Pamplona, 500 anni fa. Festeggiare un ferimento, siamo matti? Abbiamo, invece, una ragione valida. Sappiamo che senza quella palla di bombarda non ci sarebbero né CVX, né MEG, né la Rete Loyola, né Get Up and Walk…
C’è di più. La nostra fede passa per quella ferita.
Che cosa è successo?
Conoscevamo molte cose di Gesù. Avevamo sentito parlare della sua bontà verso tutti, delle sua compassione, dei suoi comandamenti. Lo conoscevamo, per così dire, dall’esterno, fino a quando siamo stati feriti. Ci siamo scoperti deboli. Come Ignazio, che non sapeva se e quando avrebbe potuto di nuovo tornare in sella, a combattere, a dimostrare la sua lealtà e il suo valore.
Ci siamo scoperti deboli, come i primi discepoli, che erano sicuri di stare accanto a Gesù sino alla fine, e, invece, lo hanno lasciato solo. Non è affatto facile scoprirsi deboli. Scatta un senso di delusione, di amarezza, di vuoto.
Eppure la fede deve fare i conti con questa realtà. Può perdersi, perché ci sentiamo abbandonati, magari giustamente abbandonati, perché è quello che abbiamo fatto prima noi. Può anche rafforzarsi. Dopo del tempo, dopo tanto sbattere la testa contro il muro, avvertiamo che il Signore ci conosce, sa tutto, non si scandalizza dei nostri errori, o del nostro errare. Al contrario, ci dà pace.
Allora tutto prende senso. Ciò che sapevamo appare vero. La bontà di Gesù verso tutti. Lo credo, se tratta con bontà una persona ingrata come me. La sua compassione, ne ho la prova: egli mi dà pace. I suoi comandamenti sono tanti, ma ora ne sento uno: “abbiate coraggio”.
E allora quel coraggio, che Gesù ci chiede e, insieme, ci dà, prendiamolo tra le mani. Egli ha vinto il mondo. Vinciamo anche noi insieme a lui.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quando hai fatto un’esperienza non distruttiva della tua debolezza?
Di che cosa ti sei accorto?
Dove ti ha portato quell’esperienza?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
17
Maggio
2021
Il coraggio che ci chiede, il coraggio che ci dà
commento di Gv 16,29-33, a cura di Stefano Corticelli SJ