prettysleepy1 via Flickr -
La mente intelligente è una mente curiosa: non è soddisfatta dalle spiegazioni né dalle conclusioni e non si abbandona alla fede, perché anche la fede è un’altra forma di conclusione.
Bruce Lee
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 20,19-31)
La sera di quel giorno, il primo della settimana, mentre erano chiuse le porte del luogo dove si trovavano i discepoli per timore dei Giudei, venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore. Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi! Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi». Detto questo, soffiò e disse loro: «Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati». Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!». Gli rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!». Gesù, in presenza dei suoi discepoli, fece molti altri segni che non sono stati scritti in questo libro. Ma questi sono stati scritti perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome.
Mi lascio ispirare
Tommaso dice di non credere. Non è facile comprendere davvero quel che intende. È una presa di posizione davanti a ciò che gli presentano i suoi amici? Oppure è una confessione di una realtà che sente vivere dentro di sé? È lui responsabile di quella condizione? Quanto? Cosa comporta?
Sono moltissime le occasioni in cui parliamo del credere. A volte quasi moralisticamente, apponendo – anche inconsapevolmente – un giudizio di bene o di male sul credere o meno alcune cose, e per estensione sulle persone che credono o meno.
Altre volte ne parliamo accostandolo a ciò che abbiamo di più intimo e del tutto liberi dagli schemi. Quasi come una realtà di fatto che scopriamo essere in noi.
Eppure se proviamo a guardare dentro questo credere, non è facile capire di che è fatto. Forse abbiamo paura di trovare qualcosa di vuoto. Un’impalcatura di concetti e abitudini che utilizziamo per vivere la nostra realtà e sapere come comportarci nelle situazioni quotidiane. Che pure purtroppo abbiamo paura di mettere in discussione, sopprimendo anche le domande che abbiamo.
Per paura rimaniamo attaccati a quelle credenze, poiché ormai fanno parte del modo in cui ci figuriamo noi stessi. Senza quelle, non ci sentiamo noi stessi. Per quante e disparate possano essere le nostre motivazioni, siamo chiamati a non aver paura, a non sopprimere quel che sentiamo. Come Tommaso possiamo anche noi dire di non credere – non sentire vero – ciò che gli amici dicono.
Gesù dà a Tommaso l’occasione di fare un’esperienza esteriore. Esperienza che la risurrezione, la pienezza, è possibile, è reale. Solo dopo quell’esperienza Tommaso può finalmente dirsi credente. E Tommaso non è meno degli altri apostoli solo perché è colui che ha avuto bisogno di toccare Gesù. Tutti gli apostoli vivono la vicenda raccontata, ognuno dal proprio punto di vista. Non è la storia di Tommaso il miscredente e degli altri che sono bravi. È la storia di una comunità. Coloro che hanno creduto, anche senza la necessità di questa esperienza esteriore, sono beati. Hanno già raggiunto la loro pienezza.
Questa pienezza è possibile anche per noi, ciascuno attraverso la propria storia. Senza figli buoni e figli cattivi. Tutti in modo unico, personale. Siamo tutti chiamati a non aver paura di vivere questa nostra personale storia!
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Che cosa significa “credere”, per me? Quanto me ne sento responsabile?
Che motivi ho per credere? Nascondo i miei dubbi?
C’è qualcosa che, mancando, farebbe venir meno il mio credere? Come mi sento a riguardo?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
11
Aprile
2021
Credere di realizzarsi
commento di Gv 20,19-31, a cura di Ettore Di Micco