-
E poi, e poi, che quel vizio che ci ucciderà
non sarà fumare o bere,
ma il qualcosa che ti porti dentro,
cioè vivere, vivere e poi, e poi vivere.
Francesco Guccini, Canzone della bambina portoghese
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mt 11,28-30)
In quel tempo, Gesù disse: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo infatti è dolce e il mio peso leggero».
Mi lascio ispirare
È un continuo, un continuo di faccende, impegni, pensieri, preoccupazioni. I doveri e le responsabilità della mia vita e dei miei incarichi già bastano, mi sembrano troppo pesanti e difficili; se poi alzo gli occhi e mi guardo un po’ attorno, e inizio a pensare e sentire che dovrei aiutare chi ho vicino, ancora peggio. Sono circondato da problemi di cui non so la soluzione, da persone che ascolto e a cui non so cosa rispondere, da situazioni in cui non so neanche che aiuto potrei dare. Anche questo peso, sento.
E tu mi prometti, «vi darò ristoro».
Nell’originale greco questo ristoro suona ana-pausin; prometti che vieni tu a sollevare quel che ho sulle spalle, e a darmi una pausa, un momento di tregua.
Sì, Signore, è proprio quello che ci vuole.
Subito dopo questa promessa, leggo stupito: «Prendete il mio giogo sopra di voi». Ma vieni a toglierlo, il peso, o a metterne altro? Forse il segreto, la chiave per capire quest’apparente incoerenza, sta in quello che dici di volermi mettere sulle spalle: un giogo. Il giogo si chiama così perché aggioga, congiunge due buoi, e non uno solo. E questo giogo è tuo non nel senso che lo possiedi, ma nel senso che lo sopporti, perché sei il bue che già se ne è fatto carico con immenso amore, e ora aspetta che io venga a occupare il secondo posto, accanto.
Vengo, Signore, cerco di agganciarmi, così partiamo: voglio essere semplice, mite, umile e mansueto come te.
Ora che sono legato al tuo stesso giogo, scopro che era il mio: gli stessi impegni, pensieri, desideri. Tu già li sostenevi, ed ora lo facciamo insieme, spalla a spalla, entrambi con gli occhi rivolti in avanti. E improvvisamente sento quanto tutto questo peso che portiamo è buono, quanto è leggero: ci sei tu accanto a me, ti affido tutta la strada da percorrere e tutti quelli che incontriamo. Non devo per forza riuscire a far quadrare tutto, non devo risolvere tutto io; basta esserci, rimanerti vicino e continuare a camminare al nostro ritmo.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quali pesi, fatiche, responsabilità mi stanno particolarmente opprimendo in questo periodo?
Quando in me prevale l’immagine di un Dio “schiavista”, che vuole impormi pesi insopportabili?
Quale situazione voglio affidargli, consapevole che da solo non basto?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
9
Dicembre
2020
A tirare avanti la carretta
commento di Mt 11,28-30, a cura di Comunità Centro Poggeschi