Photo by Parker Coffman on Unsplash -
Molte volte ho studiato
la lapide che mi hanno scolpito:
una barca con vele ammainate, in un porto.
In realtà non è questa la mia destinazione
ma la mia vita.
Perché l’amore mi si offrì e io mi ritrassi dal suo inganno;
il dolore bussò alla mia porta, e io ebbi paura;
l’ambizione mi chiamò, ma io temetti gli imprevisti.
Malgrado tutto avevo fame di un significato nella vita.
Edgar Lee Masters, Antologia di Spoon River
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 11,42-46)
In quel tempo, il Signore disse: «Guai a voi, farisei, che pagate la decima sulla menta, sulla ruta e su tutte le erbe, e lasciate da parte la giustizia e l’amore di Dio. Queste invece erano le cose da fare, senza trascurare quelle. Guai a voi, farisei, che amate i primi posti nelle sinagoghe e i saluti sulle piazze. Guai a voi, perché siete come quei sepolcri che non si vedono e la gente vi passa sopra senza saperlo». Intervenne uno dei dottori della Legge e gli disse: «Maestro, dicendo questo, tu offendi anche noi». Egli rispose: «Guai anche a voi, dottori della Legge, che caricate gli uomini di pesi insopportabili, e quei pesi voi non li toccate nemmeno con un dito!».
Mi lascio ispirare
L’immagine che usa Gesù fa pensare a sepolcri senza nome e senza nessuno a ricordarli, su cui si cammina addirittura. Se dovessimo raccontare di noi, cosa scriveremmo? Abbiamo passato tutta la vita a evitare che il bicchiere che sta sul bordo del tavolo cadesse oppure ci siamo lasciati scombussolare dalla vita, dalle relazioni, dall’amore?
Scoprire che non serve assolutamente a niente farsi primi, che essere migliore di un altro, diventare migliore, diventare il migliore non ti renderà felice può essere destabilizzante, ma forse è la via per iniziare a vivere davvero. Il bisogno di stare tra i primi nasconde una grande fragilità, nel fondo: un non riconoscersi amati per quello che siamo. Cos’abbiamo in comune con questi uomini che scelgono di ritirarsi in qualche modo dal mondo per vivere in purezza la loro fede?
La morte abita il cuore dei farisei mentre fuori è tutto perfetto e l’unico modo per non lasciar trapelare questo odore di morte è sigillarsi come si sigilla un sepolcro, chiudersi alla novità del Vangelo. Ecco il rischio della sterilità, ecco il peso insopportabile di un ideale di perfezione a cui nessuno umanamente può aspirare, una perfezione sterile che può contraddistinguere solo chi non vive perché, attento all’immagine di sé che trasmette, dimentica chi è veramente. E invece ci è stato chiesto solo di imparare ad amare, il resto dovrebbe essere una conseguenza naturale dell’amore.
Questo questo “guai”, allora, più che una minaccia è un’esclamazione di amarezza, un modo per dire “sveglia!”, perché si vive solo nella relazione, accettando di essere imperfetti e fragili e mancanti… possiamo finalmente lasciarci cadere questo peso dalle spalle e goderci il cammino con Te.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Se dovessi scrivere di te, di un episodio che ti ha reso chi sei, cosa scriveresti?
A che punto è il tuo bicchiere sul bordo del tavolo?
Quale peso puoi togliere a tuo fratello?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
14
Ottobre
2020
Il peso della perfezione
commento di Lc 11,42-46, a cura di Caterina Bruno