Foto di Stefano Ferrario da Pixabay -
Fermezza di fronte al destino, grazia nella sofferenza, non vuol dire semplicemente subire: è un’azione attiva, un trionfo positivo.
Thomas Mann
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Lc 9,51-62)
Mentre stavano compiendosi i giorni in cui sarebbe stato elevato in alto, Gesù prese la ferma decisione di mettersi in cammino verso Gerusalemme e mandò messaggeri davanti a sé. Questi si incamminarono ed entrarono in un villaggio di Samaritani per preparargli l’ingresso. Ma essi non vollero riceverlo, perché era chiaramente in cammino verso Gerusalemme. Quando videro ciò, i discepoli Giacomo e Giovanni dissero: «Signore, vuoi che diciamo che scenda un fuoco dal cielo e li consumi?». Si voltò e li rimproverò. E si misero in cammino verso un altro villaggio. Mentre camminavano per la strada, un tale gli disse: «Ti seguirò dovunque tu vada». E Gesù gli rispose: «Le volpi hanno le loro tane e gli uccelli del cielo i loro nidi, ma il Figlio dell’uomo non ha dove posare il capo». A un altro disse: «Seguimi». E costui rispose: «Signore, permettimi di andare prima a seppellire mio padre». Gli replicò: «Lascia che i morti seppelliscano i loro morti; tu invece va’ e annuncia il regno di Dio». Un altro disse: «Ti seguirò, Signore; prima però lascia che io mi congedi da quelli di casa mia». Ma Gesù gli rispose: «Nessuno che mette mano all’aratro e poi si volge indietro, è adatto per il regno di Dio».
Mi lascio ispirare
Oggi ci troviamo tra un prima e un dopo, davanti ad un vero e proprio spartiacque: Gesù, il maestro itinerante della Galilea, inizia il suo ultimo, grande viaggio verso Gerusalemme, un viaggio di sola andata.
Qualcosa sta per compiersi, gli sta venendo incontro; non appena Gesù se ne rende conto, reagisce con una presa di posizione, assume un atteggiamento per cui gli eventi (anche nel loro volto più inquietante e faticoso) non vengono semplicemente subiti, ma prima di tutto accolti come parte di un cammino nella fedeltà al Padre, che lui ha scelto e deciso di intraprendere da tempo, verso il quale ha orientato la sua vita.
La “ferma decisione” presa, letteralmente un “indurimento del volto”, in fondo significa continuare ad amare anche quando l’amore ha dei costi, non viene compreso e parla il linguaggio della solitudine.
Non sorprende, dunque, che nei primi incontri che Gesù fa nel suo viaggio verso Gerusalemme compaia sempre uno scarto tra qualcosa che sta vivendo e facendo lui e quanto invece è desiderato e atteso dai suoi interlocutori. Questi chiedono sempre una qualche forma di garanzia e rassicurazione per la loro vita (accoglienza e riconoscimento, tane e nidi, situazioni di morte da sistemare, persone da accontentare), mentre Gesù è animato da un’unica grande convinzione: essere fedele al dono del Padre, non temendo di considerare la sua vita come un bene prezioso da consegnare come bene per altri.
In fondo, alla continua domanda del come sia possibile vivere un po’ meglio grazie alle fede, Gesù risponde dicendo: «Mi dispiace, ma su questo non ho molte cose da dirti… L’unica cosa che sto maturando e sono in grado di dirti è cosa significhi amare così come ama il Padre mio».
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Quando ti sei sentito protagonista di una storia di fedeltà al Padre?
In che occasione per amare hai dovuto “indurire il volto”?
Quale domanda oggi poni al Signore?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
30
Giugno
2019
Amare come il Padre
commento di Lc 9,51-62, a cura di Iuri Sandrin SJ