Un uomo onesto, un uomo probo
tralalalalla tralallalero
s'innamorò perdutamente
d'una che non lo amava niente.
Ballata dell'amore cieco, Fabrizio De André
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 6,17-29)
Erode infatti aveva fatto arrestare Giovanni e lo aveva messo in prigione a causa di Erodìade, moglie di suo fratello Filippo, che egli aveva sposata. Giovanni diceva a Erode: «Non ti è lecito tenere la moglie di tuo fratello». Per questo Erodìade gli portava rancore e avrebbe voluto farlo uccidere, ma non poteva, perché Erode temeva Giovanni, sapendolo giusto e santo, e vigilava su di lui; e anche se nell’ascoltarlo restava molto perplesso, tuttavia lo ascoltava volentieri. Venne però il giorno propizio, quando Erode per il suo compleanno fece un banchetto per i grandi della sua corte, gli ufficiali e i notabili della Galilea. Entrata la figlia della stessa Erodìade, danzò e piacque a Erode e ai commensali. Allora il re disse alla ragazza: «Chiedimi quello che vuoi e io te lo darò». E le fece questo giuramento: «Qualsiasi cosa mi chiederai, te la darò, fosse anche la metà del mio regno». La ragazza uscì e disse alla madre: «Che cosa devo chiedere?». Quella rispose: «La testa di Giovanni il Battista». Ed entrata di corsa dal re fece la richiesta dicendo: «Voglio che tu mi dia subito su un vassoio la testa di Giovanni il Battista». Il re divenne triste; tuttavia, a motivo del giuramento e dei commensali, non volle opporle un rifiuto. Subito il re mandò una guardia con l’ordine che gli fosse portata la testa. La guardia andò, lo decapitò in prigione e portò la testa su un vassoio, la diede alla ragazza e la ragazza la diede a sua madre. I discepoli di Giovanni, saputa la cosa, vennero, ne presero il cadavere e lo posero in un sepolcro.
Mi lascio ispirare
Quello che Marco racconta riguardo il martirio di Giovanni Battista mette in luce la dinamica d’ogni peccato: quando pensiamo al peccato possiamo, rifacendoci ad una delle interpretazioni etimologiche di questa parola (pedes captum, cioè piede preso o trattenuto), immaginare tutte quelle situazioni in cui non siamo liberi e per questo impediti nell’amare e nel lasciarci nutrire dall’incontro con il bene più grande, Dio.
Ciò che vive Erode è chiaro specchio di questa vicenda interiore: la sua confusione, tuttavia, non gli impedisce di essere toccato dalla voce di Giovanni, che gli indica il bene maggiore; egli ascolta, ha timore e vigila.
Ma le trappole del nostro cuore sono a volte nascoste anche in quelle allegrie momentanee che sant’Ignazio chiama falsa consolazione, cioè stati emotivi in cui la confusione si fa occasione di non-libertà e non-amore ed è facile prendere delle decisioni che non permettono di accogliere e tutelare la vita.
Erode, infatti, diviene triste.
Il frutto del peccato è la mancanza di pace, serenità, gioia di vivere e quindi gratitudine e amore – cioè morte in tutte le sue varie forme.
Ma il peccato non è l’ultima parola, non su questo saremo giudicati, ma sulla capacità di amare e chiedere perdono, sulla fiducia in un Dio che si è fatto uomo per noi e che è disposto ogni giorno a sciogliere i lacci che bloccano il nostro piede, se, nella libertà che egli ci ha donato, smettiamo di lasciarci travolgere e finalmente scegliamo di affidarci a Lui e, perdonandoci, ricevere il suo perdono.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Cosa mi rende triste?
Quando ho sperimentato il perdono da parte di qualcuno, come mi sono sentito?
Quale incapacità di seguire il maggior bene posso affidare oggi a Dio?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
29
Agosto
2018
Ti amo comunque
commento di Mc 6,17-29, a cura di Mounira Abdelhamid Serra