L’arte da imparare in questa vita non è quella di essere invincibili e perfetti, ma quella di saper essere come si è, invincibilmente fragili e imperfetti.
Alessandro D'Avenia
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 20,24-29)
Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dissero allora gli altri discepoli: «Abbiamo visto il Signore!». Ma egli disse loro: «Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il dito nel posto dei chiodi e non metto la mia mano nel suo costato, non crederò». Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c’era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, si fermò in mezzo a loro e disse: «Pace a voi!». Poi disse a Tommaso: «Metti qua il tuo dito e guarda le mie mani; stendi la tua mano, e mettila nel mio costato; e non essere più incredulo ma credente!». Rispose Tommaso: «Mio Signore e mio Dio!». Gesù gli disse: «Perché mi hai veduto, hai creduto: beati quelli che pur non avendo visto crederanno!».
Mi lascio ispirare
Tommaso significa “gemello”, non è un caso che si chiami così: una vita vissuta nella consapevolezza di essere-rispetto-ad-un-altro, la certezza profonda della propria identità resa dalla somiglianza a uno che pur rimane diverso, la chiarezza pragmatica e concreta del proprio essere al mondo in-funzione-di una definizione.
Il dubbio ad un certo momento è necessario: se l’altro è morto, se non c’è più, chi sono io?
Il figlio di chi è figlio se il padre muore, il fratello se muore la sorella, la madre se perde il figlio?
Tommaso vive la morte dell’altro, come la morte della fede stessa, come la morte della sua stessa identità: se non mi posso relazionare a lui, lui è un’illusione, quindi io non posso credere, non esisto.
La provocazione è netta, un morto non può essere vivo e la vita stessa non vale che un soffio.
La disillusione è estrema.
Gesù entra nel segreto del cuore – a porte chiuse – ed è riconoscibile dalla pace profonda che lascia la sua presenza, già solo questo lo manifesta.
Egli compie un passo in più, entrando per primo nella nostra intimità, offre le proprie ferite al nostro dolore, al nostro dubbio: se pensiamo che la relazione soltanto ci determini, egli dà prova che possiamo essere noi esseri umani, nella nostra libertà di amare, a determinare la relazione e a rinnovare la vita.
La fragilità di Tommaso e l’amore di Gesù risorto ci chiamano a non lasciarci determinare soltanto dalle relazioni, ma a scommettere la nostra stessa persona momento per momento per determinare e rinnovare relazioni senza fine, oltre la morte, oltre ogni limite e fragilità, verso la libertà d’amare condivisa e fertile, per un’eternità celata qui ed ora che si gioca in tutto ciò che viviamo, in ogni sguardo, ad ogni tocco.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Da quale relazione sembra essere determinata la mia esistenza?
In quale luogo della mia vita il Signore è entrato a porte chiuse?
Quale fragilità offro al Signore, oggi?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
3
Luglio
2018
In relazione a chi?
commento di Gv 20,24-29, a cura di Rete Loyola (Bologna)