Nell’oscurità l’immaginazione lavora più attivamente che in piena luce
Kant
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Gv 3,14-21)
In quel tempo Gesù disse a Nicodemo: «Come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna». Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui. Chi crede in lui non è condannato; ma chi non crede è già stato condannato, perché non ha creduto nel nome dell’unigenito Figlio di Dio». E il giudizio è questo: la luce è venuta nel mondo, ma gli uomini hanno preferito le tenebre alla luce, perché le loro opere erano malvagie. Chiunque infatti fa il male, odia la luce e non viene alla luce perché non siano svelate le sue opere. Ma chi opera la verità viene alla luce, perché appaia chiaramente che le sue opere sono state fatte in Dio».
Mi lascio ispirare
Quando siamo bambini il buio ci fa paura, perché non riusciamo a distinguere bene le cose intorno a noi. Nel silenzio della notte ogni rumore sembra più forte. Nell’oscurità abbiamo spesso l’impressione che ci sia una minaccia incombente. E fin quando non torna la luce, quella sensazione di oppressione non ci abbandona. Probabilmente è una paura che viene da lontano, da quando eravamo bambini e ci siamo sentiti abbandonati nel buio della notte. Ci siamo sentiti indifesi davanti a un mondo che non conoscevamo. Così, da grandi, quella paura torna a fare capolino, quando nella vita non vediamo bene come stanno le cose, nelle situazioni di oscurità, quando nel nostro cuore c’è la notte. Anche in quel caso ogni rumore, ogni evento, sembra più grande, si ingigantisce nella sua gravità. Abbiamo la sensazione di una minaccia incombente e non ci sentiamo al sicuro.
L’antidoto alla paura è guardare in faccia quello che ci spaventa. Proprio perché il buio ingigantisce gli oggetti fantastici che ci turbano, occorre trovare il coraggio di guardarli per ridimensionare quello che ci fa paura, proprio come accade al popolo di Israele mentre sta camminando nel deserto (Nm 21,6). La gente era talmente stanca e sfiduciata che cominciava a concentrarsi sulle proprie paure: la paura di non farcela a camminare, la paura di non trovare cibo, la paura di morire di sete. Gli israeliti erano talmente ossessionati da quelle paure che effettivamente le paure prendono corpo, assumono la forma di serpenti velenosi. Quando nella nostra vita ci concentriamo sulle nostre paure, prima o poi troveremo qualcosa che giustifica le nostre attese catastrofiche. Come per il popolo d’Israele, così le nostre paure ci uccidono: chi veniva morso dal serpente moriva, perché la paura inietta il suo veleno nella nostra vita. Per allontanare i serpenti bisogna guardarli in faccia: Dio ordina a Mosè di forgiare un serpente di rame e di metterlo sopra un’asta affinché chi fosse stato morso dal serpente, guardasse quell’immagine che rappresentava il male che lo aveva colpito. Molto spesso solo aprendo gli occhi e guardando quello che ci sta facendo male, possiamo trovare la forza di guarire.
Anche Nicodemo è un uomo spaventato da quello che sta succedendo non solo intorno a lui, ma anche dentro di lui. È uno che va da Gesù di notte perché cerca la luce. È il bambino che reagisce, trova il coraggio e scende dal letto per andare a chiedere aiuto, per sentirsi rassicurato. Nicodemo è forse spaventato dal suo ruolo: Nicodemo è un fariseo, uno che probabilmente è irrigidito nei suoi schemi. È uno che deve difendere un’immagine. E forse le parole di Gesù lo hanno messo in crisi. Forse ha paura di perdere le sue sicurezze. Sente il peso della rigidità dell’immagine e del ruolo che cerca di difendere, ma forse sente anche la paura di privarsi di quelle maschere. Nicodemo è uno che rilegge le cose sempre dal suo punto di vista. Non riesce a mettersi dal punto di vista dell’altro. Non capisce il senso delle parole di Gesù, perché non riesce a spogliarsi dei significati che lui ha sempre dato alle cose. In fondo il cammino di Nicodemo nel Vangelo di Giovanni è un cammino di liberazione da un’immagine irrigidita di sé: lo troveremo alla fine del Vangelo tra coloro che vanno a prendere il corpo di Gesù dopo la sua morte (Gv 19,39). Nicodemo non ha più bisogno di nascondersi.
Il viaggio di Nicodemo è il viaggio di ogni uomo: tutti sperimentiamo situazioni di notte, in cui le ombre assumono forme strane e minacciose. Tutti abbiamo paura di perdere le nostre sicurezze, di abbandonare i nostri punti di vista, le certezze granitiche che ci siamo costruiti. Ma a volte la realtà bussa alla nostra porta e ci mette in crisi. Nicodemo non cerca di vincere da solo le sue paure, ma cerca una luce. Si mette dietro quella luce e cammina. Come gli israeliti dovevano guardare il serpente di rame elevato sull’asta da Mosè, così Nicodemo deve guardare la croce che gli fa paura, per scoprire che su quella croce non deve salirci lui, perché un altro ha preso il suo posto.
La croce è tutto quello che ci spaventa, è la morte, il giudizio, l’abbandono e la solitudine. Gesù ci dice di guardare bene quella croce che ci fa paura per scoprire che lui l’ha presa su di sé al posto nostro. E così, solo guardando la croce, potremo essere guariti.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Cosa ti fa più paura in questo momento della tua vita?
Cosa avviene in te quando guardi Cristo sulla croce?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
11
Marzo
2018
Come liberarci dai nostri fantasmi interiori
commento di Gv 3,14-21, a cura di Gaetano Piccolo SJ