Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 1,29-39)
E subito, usciti dalla sinagoga, andarono nella casa di Simone e Andrea, in compagnia di Giacomo e Giovanni. La suocera di Simone era a letto con la febbre e subito gli parlarono di lei. Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano; la febbre la lasciò ed ella li serviva. Venuta la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli indemoniati. Tutta la città era riunita davanti alla porta. Guarì molti che erano affetti da varie malattie e scacciò molti demòni; ma non permetteva ai demòni di parlare, perché lo conoscevano. Al mattino presto si alzò quando ancora era buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto, e là pregava. Ma Simone e quelli che erano con lui si misero sulle sue tracce. Lo trovarono e gli dissero: «Tutti ti cercano!». Egli disse loro: «Andiamocene altrove, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto!». E andò per tutta la Galilea, predicando nelle loro sinagoghe e scacciando i demòni.
Mi lascio ispirare
Per quanto possiamo sforzarci di costruire barriere e muraglioni, sembra che non sia mai possibile chiudere la porta di casa nostra. C’è sempre un ospite inatteso o un visitatore enigmatico che entra senza chiedere il permesso. Nel film di Thomas McCarty, L’ospite inatteso, un professore si reca a New York per sostituire malvolentieri una collega in una conferenza, ma scopre che l’appartamento in cui dovrebbe soggiornare è occupato da una coppia di immigrati. È l’inizio di una storia che gli permetterà di tornare a vivere e uscire dal suo letargo, incontrando la tenacia di chi non si rassegna davanti a situazioni disperate.
Nella commedia di Eric-Emmanuel Schmitt, invece, c’è un visitatore sconosciuto e misterioso che appare improvvisamente nella casa di Freud. Il dialogo tra i due, nell’Austria ormai annessa alla Germania del Reich, fa emergere pian piano l’identità dello strano personaggio.
Sono metafore di una vita, la nostra, che, fortunatamente, non può mai restare in un ideale isolamento. La nostra vita è sempre attraversata da quella di qualcun altro. E spesso, è proprio il visitatore importuno che ci tira fuori dalle situazioni di morte in cui stiamo lentamente sprofondando.
Anche questo brano del Vangelo ci presenta Gesù come ospite inatteso che ci scuote dal nostro sonno malato. Uscito dalla sinagoga, Gesù si reca subito nella casa della suocera di Pietro. La sinagoga e la casa tenute insieme dal ministero di Gesù: la vita spirituale e la vita ordinaria come luoghi che non possono essere separati. Non c’è soluzione di continuità: ciò che è avvenuto nella sinagoga, nel contesto della preghiera e dell’ascolto della Parola, immediatamente riverbera i suoi effetti sulla quotidianità della vita.
Quel subito, che Marco sente l’esigenza di introdurre, sembra alludere proprio all’imprevisto: Gesù entra in una casa che non è pronta ad accoglierlo. È una casa spenta e mal funzionante, come spesso accade quando una mamma di famiglia è a letto ammalata: la vita della casa si blocca, i panni da stirare si accumulano, i piatti da lavare attendono impietosi nel lavello, il sole che entra dalle finestre sottolinea ironico la polvere accumulata sul comò! Gesù entra in una casa più o meno in queste condizioni. Nessuno di noi, probabilmente, vorrebbe essere visto così da Gesù.
Chissà quanti improperi avrà lanciato silenziosamente, a mezza voce, quella donna contro il genero imbranato, che le ha portato in casa quell’uomo importante proprio nel momento meno opportuno. Forse anche noi vorremmo che Gesù entrasse in casa nostra solo dopo le pulizie di Pasqua, e invece lui, un po’ sarcasticamente, entra nella nostra casa quando meno ce l’aspettiamo!
Mentre noi ci raggomitoliamo nella nostra vergogna, Gesù invece si avvicina, non rimane a distanza, non si scandalizza e non prova disagio a entrare nella nostra malattia: «Egli si avvicinò e la fece alzare prendendola per mano». Gesù si avvicina alla nostra storia e ci rimette in piedi, ci fa risorgere dalle nostre situazioni di morte, prende la nostra mano, quella con la quale abbiamo raccolto, come Eva, il frutto del peccato, quella che ci vergogniamo di mostrare. Gesù afferra proprio quella mano per strapparci alla nostra malattia.
Il segno della guarigione è il servizio. Un modo per rendersi conto del passaggio efficace di Dio nella nostra vita è guardare quanto ci siamo aperti ai nuovi ospiti che da quel momento in poi hanno bussato alla nostra porta. La casa della suocera di Pietro scopre infatti improvvisamente risorse impensate: tutti i malati della città si ritrovano davanti alla porta di quella casa. È un’immagine iperbolica forse per dire come quella casa che all’inizio era malfunzionante, adesso, dopo che Gesù è passato, diventa una casa accogliente per tutti coloro che vivono la stessa esperienza di malattia. In effetti, quando la grazia di Dio ci incontra, anche noi scopriamo risorse che non pensavamo di avere e che possiamo mettere a servizio degli altri.
Finalmente Simone ha guadagnato punti agli occhi della suocera, la quale si è probabilmente ricreduta nelle sue idee su di lui. È comprensibile quindi che Simone voglia approfittare di questo successo e per questo chiede a Gesù di fermarsi. È un momento favorevole di cui approfittare. Forse Simone ha pensato anche che la casa della suocera, ormai guarita, poteva diventare la nuova sede legale della Compagnia di Gesù! Ma pian piano Simone dovrà entrare nell’idea che Gesù non si lascia strumentalizzare: Gesù non cerca il successo e chiede ai suoi discepoli di fare altrettanto.
Gesù si ritira in luoghi deserti, quando non può essere visto, per stare nella relazione più importante, cioè quella con il Padre. Il bene chiede discrezione, non il clamore della visibilità. Proprio quando Gesù intravvede la gloria umana, passa all’altra riva, se ne va altrove, cerca un altro luogo. In questo modo delude le aspettative di Simone e probabilmente anche di ciascuno di noi, che forse seguendo Gesù cercavamo semplicemente un po’ di scurezza.
Benché siamo solo nel primo capitolo di Marco, Simone è già stanco, vorrebbe fermarsi, desidera un po’ di stabilità, Gesù invece guarda sempre oltre e chiede a ogni discepolo di non fermarsi nella propria gratificazione, chiede di non trasformare la missione in uno strumento di soddisfazione personale. Non è raro vedere nelle nostre comunità parrocchiali o nelle congregazioni religiosi o nelle organizzazione di volontariato come il servizio diventi molto spesso solo un’occasione per vincere la propria frustrazione.
Abbiamo ancora molta strada da fare per capire cosa vuol dire veramente servire e non trasformare il nostro piccolo impegno in uno strumento di glorificazione personale, anche perché il più delle volte Gesù arriverà a demolire quello che faticosamente pensavamo di aver costruito.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Come ti sentiresti se oggi Gesù entrasse improvvisamente in casa tua?
C’è uno spazio per il servizio agli altri nella tua vita? Come lo vivi: con discrezione o come strumento di glorificazione personale?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
4
Febbraio
2018
C’è nessuno? – Quell’attimo in cui capisci che qualcuno è entrato in casa tua
commento di Mc 1,29-39, a cura di Gaetano Piccolo SJ