«Vidi tutte le reti del Maligno distese sulla terra e dissi gemendo: “Chi mai potrà scamparne?” E udii una voce che mi disse: “l’umiltà!”».
Sant’Antonio Abate
Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo (Mc 1,14-20)
Dopo che Giovanni fu arrestato, Gesù andò nella Galilea, proclamando il vangelo di Dio, e diceva: «Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete nel Vangelo». Passando lungo il mare di Galilea, vide Simone e Andrea, fratello di Simone, mentre gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. Gesù disse loro: «Venite dietro a me, vi farò diventare pescatori di uomini». E subito lasciarono le reti e lo seguirono. Andando un poco oltre, vide Giacomo, figlio di Zebedèo, e Giovanni suo fratello, mentre anch’essi nella barca riparavano le reti. E subito li chiamò. Ed essi lasciarono il loro padre Zebedèo nella barca con i garzoni e andarono dietro a lui.
Mi lascio ispirare
Quando entriamo nella Cappella San Severo a Napoli, restiamo certamente ammirati dalla leggerezza di quel velo che copre il corpo del Cristo, adagiato su una superficie marmorea. Quel velo ci ispira un’idea di pace, un senso di tranquillità, nonostante il carattere tragico della scena. Ma sollevando lo sguardo alle altre sculture che ornano la Cappella, ci imbattiamo nella figura di un uomo che si dibatte in una rete, cercando di divincolarsi dai lacci che lo imprigionano: si tratta del Disinganno.
Il velo e la rete come il divino e l’umano, come la vittoria sulla morte e l’ansia della vita. Il velo e la rete sembrano due metafore della vita, due modi di stare sotto questa vita, quello di chi non si lascia schiacciare e quello di chi invece si affanna nel tentativo di liberarsi.
In effetti l’immagine della rete è un simbolo potente che contiene molteplici significati: la rete è ciò che permette al pescatore di raccogliere i pesci o al calciatore di fare goal, ma la rete è anche quella in cui si può finire in trappola o quella che permette di tenere i contatti con gli altri. La rete è sempre ambigua: il web ci permette di allargare le nostre conoscenze, ma è anche quello che a volte ci fa perdere tempo.
Anche l’annuncio del Regno di Dio, sembra dire questo passo del Vangelo, ha a che fare con la rete e dunque con l’ambiguità della vita.
Il tempo della scena è scandito proprio dal rapporto con le reti: Gesù va verso il mare e chiama i primi discepoli quando stanno gettando le reti in mare, dunque di sera, ma poi torna a chiamare ancora mentre altri discepoli stanno sistemando le loro reti, ovvero al mattino, alla fine del lavoro. Il testo ci trasmette quindi l’immagine di Gesù che per tutta la notte non si è allontanato dal mare e ha continuato a chiamare!
Il mare e la notte sono due elementi che richiamano l’idea della paura: il mare per un ebreo è un luogo di morte, un luogo dove continuamente si rischia di perdersi; la notte è il tempo in cui non si vede bene, in cui si può essere assaliti, il tempo in cui abbiamo bisogno di luce. Il mare e la notte sono dunque il luogo e il tempo in cui Gesù ci chiama, quando abbiamo paura e quando non vediamo bene: la parola di Gesù giunge a calmare il cuore e a illuminare la mente.
I gesti dei discepoli sono descritti con due verbi significativi: i primi discepoli gettano le reti nel senso che pescano in quella modalità che ancora oggi è possibile vedere: senza allontanarsi dalla riva. È un modo di vivere, quello cioè di chi resta in superficie, senza rischiare mai.
La seconda coppia di discepoli sistema le reti nel senso di rammendare le parti strappate, come chi non ha il coraggio di buttar via quello che non funziona più, sebbene questo significhi ogni volta non riuscire a raccogliere i pesci che facilmente sfuggono alla rete usurata.
Due modi di vita dunque dentro i quali Gesù prova a entrare, due atteggiamenti da cui Gesù vuole liberarci, la superficialità e la fissazione. Gesù ci chiama per liberarci da quelle reti che ci fanno restare in superficie nella vita e da quelle che ormai non funzionano più, ma che non siamo capaci di abbandonare. L’incontro con Gesù è sempre un incontro liberante, Gesù ci salva da quello che ci intrappola e ci impedisce di vivere la vita pienamente.
Non si tratta di abbandonare le reti, ma di usarle in modo nuovo: Gesù non disprezza il lavoro di questi uomini, non chiede loro di cambiare. Sono pescatori e pescatori resteranno. Dio non vuole distruggere quello che siamo, non ci sta dicendo che non siamo OK: «sarete pescatori di uomini» vuol dire che continueranno a essere ciò che sono, ma in modo nuovo, per uno scopo diverso, a servizio di un ideale più alto. Gesù non distrugge, ma valorizza quello che siamo.
Ancora una volta, troviamo nel vangelo una parola oscura, una parola che al momento non è stata chiara per i discepoli, ma che ha messo in moto il loro cammino, li ha incuriositi e affascinati. Con Dio è sempre così, all’inizio non è mai tutto chiaro, ma la sua parola attrae e accende il cuore. Chi non ha il coraggio di rischiare non accetterà mai di lasciare le sue care e vecchie reti, ma continuerà a rimanere in superficie, provando ancora una volta a riparare ciò che ormai non funziona più.
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Senti la vita come un velo che ti copre delicatamente o come una rete che ti intrappola?
Vivi anche tu rimanendo in superficie o cercando di riparare quello che ormai non funziona più?
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
21
Gennaio
2018
Mi copro o m’intrappolo? – Il velo e la rete come modi di stare al mondo
commento di Mc 1,14-20, a cura di Gaetano Piccolo SJ