Mi preparo
Chiudo gli occhi,
mi concentro sul momento presente,
libero la mente da preoccupazioni e pensieri,
esprimo interiormente il mio desiderio di stare alla presenza del Signore
Entro nel testo ()
di P. Gaetano Piccolo, gesuita At 2,1-11 In uno dei suoi spunti di meditazione, Anthony De Mello scriveva: «Ogni giorno in un angolo di una biblioteca in Giappone, un vecchio monaco sedeva in serena meditazione. “Non ti ho mai visto leggere una sutra”, …
Mi lascio ispirare
“Non ti ho mai visto leggere una sutra”, disse il bibliotecario.
“Non ho mai imparato a leggere”, rispose il monaco.
“Che disgrazia. Un monaco come te dovrebbe essere in grado di leggere. Posso insegnarti io a leggere, se vuoi?”.
“Sì, grazie!”, rispose il monaco analfabeta, e, indicando il corpo del bibliotecario, chiese: “Dimmi, allora, qual è il significato di questa lettera?”».
A me sembra che la Pentecoste sia la festa della liberazione delle energie positive che l’uomo si porta dentro, molto spesso senza saperlo. Il corpo è un tempio che celebra lo Spirito, eppure molti corpi sembrano chiese sconsacrate, dove non si celebrano più liturgie. Molte vite assomigliano a quelle liturgie domenicali dalle quali escono o famiglie ingessate in un perbenismo formale o anziani dal volto triste che non sperano più in qualcosa di buono dalla vita.
«Che cos’è l’uomo, perché te ne curi? Eppure lo hai fatto poco meno degli angeli…»: la Pentecoste viene a risvegliare in noi questa domanda. Chi è il Faraone che mi tiene schiavo e mi impedisce di gioire? Quale la torre che non riesco a costruire e che mi lascia frustrato?
Il racconto della Pentecoste ci rimanda a due momenti fondamentali della fede di Israele: il dono della Legge sul Sinai e l’inizio della creazione quando lo spirito aleggiava sulle acque.
Il fragore, il tuono, attraverso cui Dio si manifesta rimanda alla teofania sul Sinai, cioè al momento in cui Dio dona la legge a Mosè. La festa di Pentecoste era infatti nella tradizione ebraica la festa delle alleanze, ovvero il ricordo dei momenti in cui Dio aveva continuato a dire al suo popolo “Io sono il tuo Dio, sono con te ogni giorno!”.
Per i discepoli di Gesù, Pentecoste diventa la festa della nuova ed eterna alleanza, quella che Dio stabilisce per sempre nella croce di Gesù. Il discepolo appartiene a Dio, per sempre, non è più schiavo del Faraone. È vero, la vita ci porta spesso a tornare in Egitto, o quanto meno ad avere nostalgia della vita da schiavi. A volte, come in un incubo, ci accorgiamo che il Faraone è dentro di noi: siamo schiavi delle false immagini che abbiamo di noi, dei nostri deliri di onnipotenza o della mancanza di fiducia nelle nostre risorse, siamo schiavi dell’invidia e dell’orgoglio. Ma è Pentecoste quando ci ricordiamo che apparteniamo per sempre a Dio, quando ci accorgiamo che Dio abita in noi con la sua bellezza e la sua potenza, quando ci ricordiamo che ci ha fatto poco meno degli angeli.
Perciò Pentecoste è la festa di uno sguardo libero e limpido su di noi, sulla nostra interiorità, su quello che siamo veramente.
Pentecoste, spirito che scende su di noi come all’inizio, è anche festa della nuova creazione. Non nel senso che quella di prima non andava bene (ciò che esce dalle mane di Dio è sempre bello), ma nel senso di una creazione rinnovata, valorizzata, messa a servizio del Regno. Dio continuamente ci ri-crea, ogni volta che gli diamo la possibilità di essere argilla nelle sue mani.
A me sembra che il senso di questa nuova creazione lo esprimano bene le parole di Gesù a Pietro: «Vi farò pescatori di uomini». Quell’espressione sarà risultata certamente enigmatica per Pietro, ma in realtà contiene un messaggio straordinario: Pietro è un pescatore e tale rimane, Dio non ha intenzione di distruggere quello che lui è, la sua identità. Eppure c’è qualcosa di nuovo nel modo in cui Pietro continuerà ad essere pescatore, se darà a Dio la possibilità di usare quello che lui è per un bene più grande.
Pentecoste è la festa di una valorizzazione, non di una distruzione. È la festa di un’offerta a Dio di uno spazio sempre maggiore nella mia vita, uno spazio in cui Dio possa agire liberamente per un bene che non è più solo mio!
Pentecoste è perciò festa di un lasciar fare a Dio piuttosto che di un fare io: non a caso la capacità di capire gli altri che parlano lingue diverse è esattamente la guarigione di quella confusione che l’umanità aveva sperimentato nella costruzione della torre di Babele.
Quando l’uomo si sforza di essere protagonista della sua salvezza, quando pensa di poter arrivare a Dio mediante le proprie forze, quando pensa di dover essere lui a raggiungere il cielo, piuttosto che lasciare che il cielo raggiunga la sua terra, allora finisce con il confondersi, con il non capire più niente, con il creare divisioni. È l’esperienza che spesso facciamo nelle nostre comunità, parrocchiali o religiose o politiche, quando sfrattiamo lo Spirito, quando non c’è più spazio per il discernimento, quando le decisioni diventano strategie, quando la misura delle cose è l’interesse personale.
Pentecoste non è la festa dei puri o dei migliori, è la festa di peccatori che si scopronoperdonati e che proprio per questo capiscono di non avere più bisogno di mettersi a costruire torri.
Pentecoste è la festa in cui i sogni dell’altro non mi fanno più paura: ecco cosa vuol dire riuscire a comprendere la lingua dell’altro. Quando invece sono svuotato, inaridito, complessato, frustrato, allora la diversità mi fa paura, perché vedo l’altro come un possibile invasore del mio spazio vuoto.
Pentecoste, invece, unisce, perché è l’ideale di un’umanità, in cui ciascuno arriva a riconoscere la bellezza divina che lo abita. Questo è il cammino che ci attende: camminare nell’eterna pentecoste dello Spirito.
Leggersi dentro
– Quali sono i luoghi in cui sento di più la presenza di Dio in me?
Immagino
Provo a visualizzare la scena, il luogo in cui avviene, i personaggi principali, le parole che si scambiano, il tono delle voci, i gesti. E lascio affiorare il mio sentire, senza censure, senza giudizi.
Rifletto sulle domande
Ringrazio
Come un amico fa con un amico, parlo con il Signore su ciò che sto ricevendo da lui oggi...
Recito un "Padre nostro" per congedarmi e uscire dalla preghiera.
8
Giugno
2014
GET UP and WALK 08/06 Non ho più bisogno di costruire torri
commento di , a cura di Rete Loyola (Bologna)